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«Ehi, guardate, sono le principesse!»
Tutti i presenti alzarono lo sguardo sulle tre fanciulle che passeggiavano insieme per il mercato e chiacchieravano allegramente tra loro. Erano le figlie di re Jotaro e della regina Noriaki, i sovrani di quella terra: Ermes, la più grande, Foo Fighters (chiamata da tutti semplicemente F.F.), la mediana, e Jolyne, la minore. Sebbene fossero tutte delle splendide ragazze, quella che però attirava di più l’attenzione della gente era Jolyne, grazie alla sua bellezza e al suo carisma. In tutto il regno non si faceva che domandarsi come fosse possibile che una giovane talmente bella non avesse ancora trovato marito. La risposta, tuttavia, era molto semplice: per quanto in molti volessero chiedere la sua mano, il suo aspetto etereo li metteva in soggezione; in più, i pretendenti erano intimoriti da suo padre, quindi quasi tutti decidevano di rinunciare all’impresa. Nonostante questo chiunque, a prescindere dall’età e dal sesso, non faceva che lodare l’aspetto della ragazza e la paragonavano addirittura alla dea Yukako. Ben presto questi commenti finirono per arrivare alle orecchie di quest’ultima, che andò su tutte le furie.
«Come osano quei bifolchi paragonare me, la dea della bellezza, a una semplice mortale?!»
Tuttavia, le affermazioni riguardo i pretendenti di Jolyne non erano del tutto corrette: c’era un uomo, infatti, che la osservava sempre da lontano e che aveva spesso chiesto la sua mano a re Jotaro, ma quest’ultimo aveva sempre rifiutato.
“Narciso Anasui. Un uomo della più infima lega che non ha esitato a togliere la vita alla sua ex fidanzata quando ha scoperto che lo stava tradendo. E adesso la sua ossessione per Jolyne lo porta a seguirla ovunque come uno stalker. Davvero una feccia umana.”
Questo però le diede un’idea.
“Un attimo. Forse esiste un modo per liberarmi definitivamente di quella ragazzina”, pensò, e mandò un’ancella a chiamare suo figlio Giorno, il dio dell’amore.
«Giorno, dato che per dovere te ne vai in giro a far innamorare le persone, io ti comando di volare sulla Terra e fare lo stesso con Jolyne Kujo e Narciso Anasui.»
«Madre, quanto mi richiedete è impossibile: Anasui ha già il cuore occupato da un’altra donna.»
«Osi mentire a tua madre? So benissimo che l’effetto della tua freccia è svanito nell’esatto istante in cui quell’essere ha affondato il coltello nella carne della sua donna.»
Yukako aveva ragione, e Giorno lo sapeva bene: d’altronde, quando decidi di impugnare un coltello e rivolgerlo verso la tua amata non si può più parlare di amore. Quello era l’unico limite delle sue frecce.
«Avete ragione, ma–»
«Osi disobbedirmi?»
«No, ma–»
«Allora niente ma. Esegui i miei ordini e liberami di quella Kujo una volta per tutte!»
Il biondo fece un inchino per congedarsi e lasciò la casa della dea, di malumore: da sempre era lui a decidere chi far innamorare, secondo un suo personale giudizio, e vedersi togliere questo diritto dalla madre lo aveva fatto adirare non poco. Ma siccome si trattava solo di questa volta decise che avrebbe fatto un’eccezione.
Ben presto arrivò al bosco dove Jolyne stava passeggiando e vide Anasui che la spiava nascosto dietro a un albero.
“Povera ragazza. Avrà pur fatto un torto a mia madre, ma nessuno meriterebbe di rimanere legato per sempre a un uomo così ributtante.”
Ricordava perfettamente cos’era successo con lui: la ragazza che aveva colpito, prima che potesse vedere Anasui, aveva posato gli occhi sul giovane che era insieme a lui; tuttavia ormai Anasui si era innamorato di lei, quindi la fanciulla aveva deciso di stare con lui solo per vedere l’amico. Sebbene Giorno non avesse colpito il ragazzo in questione, la giovane era comunque riuscita a sedurlo (dato che l’amore romantico era molto diverso da quello carnale), e una volta scoperta era stata immediatamente uccisa insieme al suo amante. In seguito Giorno aveva voluto riprovarci e aveva individuato una ragazza dolce e mite che sapeva sarebbe stata perfetta per l’uomo dai capelli rosa: tuttavia, quando aveva colpito prima lui, la prima a passare nel suo campo visivo era stata Jolyne Kujo. Il dio aveva dunque deciso di fermarsi e di lasciarlo perdere: non avrebbe rovinato la vita a ben due ragazze a causa di quel mentecatto.
Mentre ripensava a tutta questa storia aveva incoccato la freccia, controvoglia, e l’aveva puntata contro la giovane.
«Le mie scuse più sincere, Jolyne Kujo, ma non posso andare contro a un ordine di mia madre.»
Tese la corda, ma all’ultimo proprio non se la sentì di farlo: non solo per orgoglio di poter decidere da sé chi far innamorare, ma anche perché chiunque meritava di meglio di quell’infimo essere coi capelli rosa.
“Anasui non merita di essere amato. Persuaderò mia madre a cercare vendetta in altro modo”, pensò, abbassando l’arco.
Tuttavia, un uccellino gli sfrecciò davanti così velocemente da farlo spaventare e lasciare la corda, e la freccia gli si piantò nel piede. Visto che nemmeno gli dèi erano immuni a quel potere, si innamorò all’istante di Jolyne, e il pensiero della rabbia di Yukako abbandonò la sua mente, sostituito da un’unica frase: lui avrebbe sposato Jolyne Kujo. Ma come?
Mentre rimuginava sul da farsi notò che l’oggetto dei suoi pensieri si era incontrata con una sua amica, una ragazza dai capelli rosa accompagnata da un cane, e si era seduta per terra, mentre l’altra su un ceppo.
«Non so proprio cosa fare, Reimi: i miei hanno parlato con un oracolo per sapere come potermi trovare marito, e questi ha detto loro di portarmi su una rupe stasera per farmi portare via da un mostro e permettere al mio destino di compiersi.»
«Ma è terribile! E poi, scusa, non avresti già un pretendente che ha chiesto la tua mano più volte?»
«Dici Anasui? Sì, ma mio padre preferirebbe tagliarsi la gola che darmi in sposa a lui, e su questo siamo tutti d’accordo.»
Giorno fu lieto di vedere Anasui digrignare i denti.
«Già, in effetti non è esattamente la definizione di uomo ideale…»
«Puoi dirlo forte. Ma il problema rimane: cosa devo fare secondo te?»
«Beh, se ti riferisci all’oracolo Boingo, le sue previsioni sono molto accurate, quindi se ha promesso ai tuoi che avresti trovato marito allora deve dire il vero. E poi, se quel mostro dovesse cercare di farti del male saresti benissimo in grado di difenderti.»
«Sì, però non lo so. E se non dovessi amare l’uomo da cui verrò portata? E se non fosse neanche un essere umano ma una bestia demoniaca?»
«Vale quanto detto prima: lo prendi a calci e scappi. Sei intelligente, sicuramente troveresti il modo di tornare al castello.»
«Hai ragione, però…»
Mentre le due continuavano a parlare a Giorno venne un’idea, quindi volò il più velocemente possibile verso la casa di Weather Report, il dio del vento.
«Saluti, Giorno. Cosa ti porta qui?»
«Weather, debbo chiederti un favore.»
Una volta spiegato il piano, e aver convinto l’amico a collaborare, il biondo tornò a casa e iniziò i preparativi per accogliere la sua futura sposa.
***
Quella sera stessa Jolyne venne portata sulla fatidica rupe e, dopo aver abbracciato per l’ultima volta la sua famiglia, si diresse verso il dirupo in attesa del mostro che l’avrebbe portata via. Al suo posto, trasportato da una folata di vento, arrivò un uomo alto, dagli occhi di un azzurro intenso e dalla carnagione candida; indossava unicamente un drappo blu che gli copriva le parti intime (per sommo imbarazzo della principessa) e uno strano cappello bianco con due piccole corna dorate.
«Chi sei?» chiese lei.
«Sono Weather Report, dio del vento. Sono qui per portarti dal tuo futuro marito, Jolyne Kujo.»
“Accidenti, è un bell’uomo! Non sembra un mostro, ma magari è solo un’apparenza.”
Weather prese la principessa tra le braccia, imbarazzandola di nuovo, e grazie a un’altra folata di vento si alzò nel cielo. Lei si tenne stretta a lui e chiuse gli occhi dalla paura, aprendoli solo quando si furono fermati; il dio la posò a terra, fece un breve inchino per salutarla e se ne andò.
Jolyne si guardò attorno: sembrava trovarsi in un palazzo, il cui pavimento di marmo era decorato a motivi geometrici, e al centro di esso spiccava il mosaico di una coccinella; di marmo erano anche le colonne e le pareti, le quali erano anche intarsiate d’oro. Mentre stava ammirando gli splendidi affreschi che decoravano il soffitto, da cui pendevano candelabri d’oro che illuminavano la stanza di una luce soffusa, una voce la chiamò.
«Jolyne Kujo.»
La ragazza si girò di scatto, ma non vide nessuno. Si guardò intorno ma le sembrò comunque di essere da sola.
Proprio quando pensava di essersela immaginata, la voce parlò di nuovo.
«Benvenuta nella vostra nuova dimora.»
«Chi va là?»
A quel punto da dietro una colonna uscì una strana creatura. Aveva una forma umanoide, ma non era umano, anzi di aspetto faceva davvero paura: sul corpo dorato spiccavano rettangoli arancioni e qua e là vi erano sfere del medesimo colore; sulla fronte, invece, era incastonata la punta di una freccia, sotto la quale due occhi tondi e arancioni fissavano attentamente la ragazza.
«Saresti tu colui che dovrei sposare?»
«No, io sono qui per fare le veci del mio padrone. Mi chiamo Gold Experience Requiem, o più semplicemente GER, e sono uno Stand.»
«Uno Stand? E cioè?»
«In parole povere, rappresento la personificazione della forza spirituale del mio padrone.»
«Oookay», disse lei, poco convinta. «E chi sarebbe il tuo padrone?»
«Non posso dirvelo per la vostra sicurezza, ma potete chiamarlo Haruno Shiobana. È molto simile al suo vero nome.»
«Perché non si fa vedere?»
«Come ho detto prima, se veniste a sapere di lui sareste in pericolo. Il mio padrone vuole farvi sapere che si è innamorato di voi sin dal primo momento che vi ha vista, e sarebbe onorato se voleste concedergli la vostra mano.»
La ragazza rimase in silenzio un momento, sconvolta.
«Fammi capire bene», cominciò, «non solo il tuo padrone mi ha fatta portare qui contro la mia volontà, e non solo non vuole che io sappia chi sia, ma pretende anche che io lo sposi? Spiacente, ma non ne ho alcuna intenzione.»
«Con lui vivreste come una regina, Jolyne Kujo. Potreste avere tutto ciò che desiderate, e lui vi terrebbe compagnia ogni sera.»
«Senza avere nemmeno la decenza di farsi vedere? Ha intenzione di restare nascosto per sempre? Non esiste che io sposi qualcuno che non conosco. Me ne vado.»
Stava per dirigersi verso la porta quando una nuova voce la fermò.
«Per favore, non andartene.»
Lei si voltò, ma a parte GER non vide nessuno.
«Chi c’è ancora?»
«Sono Haruno.»
«Allora c’eri anche tu qui. Benissimo, così GER si è risparmiato un viaggio. E a proposito di viaggi, dimmi subito come faccio ad andarmene da qui.»
«Temo che non sia possibile senza il mio permesso. E come ha già detto il mio Stand, è mia intenzione prenderti in sposa. Quindi non posso lasciarti andare.»
«Pronto? Il mio parere non conta nulla da queste parti?»
«Certamente, ma ti pregherei di prendere in considerazione la mia proposta. Rimani nel mio palazzo qualche giorno e rifletti attentamente su quanto ti ho detto e offerto. Sarai mia gradita ospite fino a che non sarai pronta a darmi una risposta.»
«Ce l’ho già una risposta, ovvero: Col. Cavolo. Che. Ti. Sposo», disse lei, scandendo bene le parole.
«Jolyne–»
«No, Haruno o come diavolo ti chiami. Chi mai sposerebbe qualcuno che non ha nemmeno le palle di farsi vedere? Che razza di matrimonio sarebbe? Per quello che so potresti anche essere un mostro terrificante, e poi non è giusto che solo tu possa vedermi mentre io non possa fare altrettanto! Addio», concluse lei, poi corse verso il portone d’ingresso. Una volta fuori rischiò di cadere nel vuoto, se la mano di GER non le avesse afferrato il braccio: il palazzo, infatti, era situato sopra una nuvola e, sporgendosi, la ragazza poté vedere un vuoto blu e nero senza fine.
«Ora capite, Jolyne Kujo? Non potete andarvene da qui. Non senza l’approvazione di Haruno, comunque.»
La principessa era rimasta senza parole: l’avevano fregata!
«Dunque? Cos’avete deciso di fare?»
Lei deglutì, ponderando bene la situazione.
«Resterò. Per ora», rispose, liberandosi dalla presa con uno strattone e tornando dentro il palazzo.
Per ora. Perché di questo si trattava: di una battaglia persa a fronte di un’intera guerra. Jolyne non si sarebbe fatta imprigionare tanto facilmente. Certo, avrebbe potuto tranquillamente aspettare la scadenza e poi dire ad Haruno di andarsela a prendere dove non batte il Sole, ma sospettava che quel… tizio, avrebbe sicuramente escogitato un modo per tenerla rinchiusa lì.
L’unica soluzione era scappare. Come, ancora non lo sapeva, ma sarebbe scappata.
***
Le aveva provate davvero tutte: aveva cercato una corda per calarsi, ma non ne esistevano di così tanto lunghe, neppure legandole tutte insieme; aveva cercato una scala o un sentiero che conducesse di sotto (insomma, a meno che Haruno non avesse avuto le ali, o che non fosse mai uscito da lì, avrebbe avuto bisogno di qualcosa per salire fin lassù, no?), ma non aveva trovato niente; aveva cercato di corrompere GER con ogni mezzo, ma sembrava incorruttibile tanta era la lealtà verso il suo padrone; aveva cercato di fingersi malata, in modo da poter essere portata da un medico, ma a quanto pare GER riusciva anche a curare malattie e ferite; aveva provato anche a chiamare Weather in modo da farsi portare via, ma il dio non aveva mai risposto.
Insomma, sembrava proprio non esserci alcuna via d’uscita. Intendiamoci, lei si trovava benissimo al palazzo: come le aveva promesso GER, Haruno non le faceva mancare nulla, e ogni sera la intratteneva con racconti di ogni tipo, seppur restando nascosto tutto il tempo. Inoltre non mancava di provvedere anche ai suoi… bisogni carnali, ed era davvero bravo nel darle piacere. Sempre al buio, ovviamente, o con lei bendata.
Sì, sotto molti punti di vista non stava affatto male. Ma le mancavano la sua famiglia, i suoi amici, la sua casa. La sua libertà.
«Cosa succede, Jolyne? Stasera mi sembri giù di morale», disse Haruno durante uno dei loro incontri serali.
«È solo che…» “forza, Jolyne”, si disse, “questa potrebbe essere la tua occasione.” «Mi mancano molto le mie sorelle. Mi piacerebbe poter far loro visita.»
«Sai bene che non posso concedertelo.»
«Oh, ma dai! Ormai è molto che non le vedo! Saranno preoccupate, e sicuramente si staranno chiedendo come sto.»
«Jolyne…»
«Solo un giorno», disse lei. «Ti chiedo solo 24 ore per poter stare insieme alla mia famiglia. Dopodiché potrai mandare Weather, o chi ti pare, a riportarmi qui. Ma ti prego, concedimi questo piccolo favore.»
Il silenzio che ne seguì le fece intuire che Haruno stava pensando attentamente alla sua richiesta. O che se ne era andato senza fare alcun rumore, ma sapeva che non era da lui fare queste cose.
«E sia», concedette lui alla fine. «Manderò a chiamare Weather e alle prime luci dell’alba ti accompagnerà dalle tue sorelle, poi ti riporterà qui dopodomani alla stessa ora.»
«Grazie!» trillò lei, alzandosi in piedi e sorridendo a trentadue denti. «Se potessi ti abbraccerei!»
Le candele che illuminavano la stanza si spensero in un istante e la ragazza si trovò al buio.
«Se ci tieni così tanto, ti accontenterò», sussurrò la voce di Haruno, improvvisamente vicinissima a lei.
Jolyne alzò le mani e allungò le braccia davanti a sé, titubante; non dovette attendere molto prima di incontrare un petto sodo (o almeno sperava fosse un petto), e allora avvolse lentamente le braccia attorno al corpo del suo futuro sposo. Aveva già intuito più o meno com’era fatto durante le loro notti insieme, ma adesso poteva confermare che fosse leggermente più alto di lei, e a giudicare dalla circonferenza del suo torace doveva essere snello, seppur dotato di una muscolatura ben percepibile.
Lui ricambiò l’abbraccio con delicatezza e cominciò ad accarezzarle la schiena con tale tenerezza da far vacillare il cuore della principessa. Nonostante tutto ciò che avevano già fatto, questo le sembrò un gesto così intimo, così diverso a tutti i contatti a cui era abituata: non era come gli abbracci che aveva scambiato con le sue amiche o le sue sorelle, e aveva qualcosa in più rispetto a quelli di sua madre. In quel momento si sentì al sicuro come mai nella sua vita.
Strinse la presa, premendo la guancia contro la sua spalla. Non le sarebbe dispiaciuto restare tra quelle braccia ancora per un po’. O per sempre.
***
Il mattino successivo, come promesso, Weather venne a prenderla allo spuntar del Sole e, mentre la portava dalla sua famiglia, Giorno osservava la scena dalla finestra della sua camera.
«Sembrate inquieto, padrone.»
«Lo sono, GER», rispose l’interpellato senza voltarsi. «Ho un brutto presentimento. Temo che l’aver permesso a Jolyne di tornare tra gli umani sia stato un terribile errore.»
«Temete che possa scappare?»
«No, non è questo.» Nemmeno lui sapeva spiegarsi la strana sensazione che lo attanagliava, quindi decise di lasciar cadere l’argomento. «Lasciamo perdere. Non è importante.»
GER sapeva che, invece, tutto ciò che riguardava Jolyne Kujo rappresentava la massima priorità per Giorno, sebbene questi non sembrava esserne del tutto consapevole. Si era legato davvero troppo a quella ragazza, e lo Stand sapeva anche che questo attaccamento, presto o tardi, avrebbe portato molto dolore al suo portatore.
«Come volete.»
***
«Jolyyyyyy! Ci sei mancata tantissimo!!» gridò F.F., buttandosi tra le braccia della sorella minore.
«Ma ti pare il caso di non scriverci neanche una lettera? Eravamo preoccupate a morte, dannazione!» aggiunse Ermes, abbracciandola da dietro.
«Oh, ragazze, mi siete mancate tantissimo anche voi!» disse Jolyne, avvolgendo un braccio intorno a F.F. e stringendo con l’altra mano un braccio di Ermes.
«Quindi?»
«Quindi cosa, F.F.?»
«Quindi, cosa ci racconti?» chiese la ragazza, sciogliendo l’abbraccio. «Sarà almeno un mese che non ci vediamo, ti saranno successe un sacco di cose da allora.»
«Eh? Già un mese? Non mi ero accorta che il tempo fosse volato così in fretta.»
«Guardala come cerca di cambiare argomento.»
«Ti sbagli, Ermes, non sto cambiando argomento», mentì lei. «È solo che davvero non ho niente di eclatante da raccontarvi.»
«Beh, potresti iniziare parlandoci di tuo marito», disse la mediana.
Ed ecco la domanda che Jolyne temeva, seppur non fosse una vera e propria domanda.
«Già, come va la vita da neo sposina?» la canzonò la più alta delle tre.
«N-noi non… non siamo ancora sposati.»
Le altre due lanciarono in coro un «ehhhh?» sorpreso.
«Ma com’è possibile, Jolyne?!» gridò Ermes.
«Puoi almeno descriverci com’è fatto quest’uomo?» aggiunse F.F.
«Io non… non lo so.»
«Ma come non lo sai?!» esclamò ancora la maggiore, prendendola per le spalle e cominciando a scuoterla. «Vuoi forse dirci che per quanto ne sai potrebbe pure non essere umano?!»
«B-Basta Ermes!» disse Jolyne, liberandosi dalla presa. «Sì, esatto, ed è per questo che sono ancora nubile: non ci penso neanche a sposare uno sulla fiducia. Però…»
«Però cosa?»
La ragazza raccontò alle sorelle com’era la sua vita dentro al palazzo di Haruno, parlando anche di come le tenesse compagnia tutte le sere e di come non le facesse mai mancare nulla; descrisse la sua nuova casa e anche la strana creatura che viveva con loro, così diversa da qualsiasi cosa avesse mai visto.
«Quello che non capisco», esordì F.F. alla fine del racconto, «è come mai quel tale non si sia mai fatto vedere.»
«GER dice che è perché il conoscere la sua vera identità mi metterebbe in pericolo.»
«Stronzate», sputò Ermes. «Fidati, quello non vuole che tu lo veda perché è un mostro orrendo.»
«Mah, qualche volta ci siamo toccati, e da quello che ho sentito sembra umano.»
«Potrebbe essere un mutaforma. Ne esistono a bizzeffe in giro per il mondo.»
«No, aspetta F.F., la questione è un’altra: hai detto che vi siete toccati? E in quale occasione sarebbe potuto succedere?»
Jolyne ammise con riluttanza ciò che aveva fatto insieme a lui, cercando comunque di non scendere nei particolari.
«Jolyne, ma sei completamente impazzita?! Santo Brando, saresti capace di fartela con qualsiasi cosa respiri!»
«E-Ehi, è fin troppo bravo quello lì! Come facevo a dirgli di no? E poi non siamo ancora… andati fino in fondo», bofonchiò l’interpellata, rossa come un peperone. Per quanto effettivamente non le sarebbe dispiaciuto, infatti, per ora Haruno aveva sempre preferito fermarsi ai preliminari.
«Jonathan nostro che sei nei cieli, sei proprio senza speranza», disse la maggiore, appoggiandosi una mano sulla faccia e scuotendo la testa.
«Comunque lui sembra piacerti davvero tanto, sorellina», intervenne F.F., incrociando le braccia e rivolgendole un sorriso incoraggiante.
La ragazza si calmò e la guardò negli occhi.
«Non saprei dirtelo. Certo, mi piace stare in sua compagnia e mi piace come mi fa sentire. E non solo in quel senso, Ermes!» si affrettò ad aggiungere, vedendo il modo in cui sua sorella la stava guardando.
«E allora cosa c’è che non va?»
«È il non sapere con esattezza chi è. Anche il nome che vi ho detto non è proprio il suo.»
«Ma scusa, cos’è che ti ferma? Basta aspettare che si addormenti.»
«Non è così semplice, Ermes: primo perché mi ha fatto promettere che non avrei mai cercato di scoprire la sua identità, e sai che io mantengo la parola data; secondo, GER controlla ogni mio movimento, quindi di sicuro mi impedirebbe di entrare nella stanza di Haruno.»
«Dimmi una cosa: questo GER è con voi anche quando fate le porcate?» continuò Ermes.
«N-No, lì siamo da soli…» rispose Jolyne, distogliendo lo sguardo e arrossendo di nuovo.
«Allora potresti nascondere una lanterna sotto il tuo letto, poi, dopo che avrete finito, ti basterà aspettare che lui si addormenti e potrai vederlo.»
«Lui non rimane mai con me così a lungo. Al mattino mi sveglio sempre da sola.»
«Però potresti chiedergli di restare con te un po’ di più. Non so, digli che hai voglia di coccole o stronzate del genere.»
«Sì, credo proprio che potrebbe funzionare», approvò F.F.
«Ragazze, qui non si tratta di trovare un modo per vederlo in faccia,» intervenne la minore. «Il punto è che gli ho promesso di non farlo, e non posso infrangere una promessa.»
«Come preferisci, Joly. Però secondo me non è affatto giusto che tu non possa conoscere l’aspetto dell’uomo che dovrai sposare.»
«Anche io la penso così. Hai il diritto di sapere, dannazione», aggiunse Ermes.
Decisero di non parlare più della faccenda e di godersi la giornata assieme, visto il tempo limitato che avevano a disposizione.
Il giorno dopo, dopo aver salutato le sue sorelle, Jolyne si diresse verso la rupe dove Weather l’aveva presa la prima volta.
«Secondo te lo farà?» chiese F.F. a Ermes sulla via del ritorno.
«Certo che lo farà. Non ha mai sopportato le ingiustizie, sia che fossero rivolte agli altri che verso lei stessa. Vedrai che, nonostante la promessa, anche stavolta il suo senso di giustizia prevarrà.»
***
Per tutto il viaggio Jolyne non fece altro che rimuginare su quanto le avessero detto le sue sorelle il giorno prima, ed era sempre più indecisa sul da farsi: da una parte, aveva fatto una promessa e non sarebbe stato corretto tradire così la fiducia di qualcuno a cui aveva imparato a voler bene; dall’altra, però, non era neanche corretto continuare a nasconderle in questo modo la sua identità. Avrebbe dovuto sposarlo, dannazione, perché non le poteva essere dato di vederlo in faccia almeno una volta?
Sapeva che chiedere a lui sarebbe stato completamente inutile, perciò decise di rivolgersi all’unico altro essere lì con lei.
«Ehi, Weather?»
«Che succede?»
«Volevo chiederti… tu per caso conosci Haruno? Il tizio da cui mi stai portando adesso?»
«Certo che lo conosco. Anzi, direi che siamo in buoni rapporti.»
«Ecco… cioè… per caso sai com’è fatto? Qual è il suo aspetto?»
«Non si è ancora mostrato a te, presumo.» La ragazza scosse il capo. «Allora temo di non poterti rivelare niente neanche io. È una sua decisione, e io devo rispettarla.»
«Ma non mi puoi dire proprio nulla? Non lo so, tipo che è un mostro a sei braccia?»
«Temo di no, Jolyne Kujo», rise piano il dio. «Tuttavia posso assicurarti che non è affatto un mostro a sei braccia. Infatti, non è né un mostro né un essere umano.»
«Ma allora cos’è?»
Il compagno scosse la testa e riprese a guardare avanti, segnalando che la conversazione era finita, e a lei non rimase che tornare a chiudersi nei suoi pensieri.
Intanto, Weather notò che qualcuno li stava seguendo di nascosto. Non disse nulla, ma si ripromise di restare in guardia.
***
Una volta arrivata al palazzo di Haruno, trovò ad attenderla GER.
«Buongiorno, Jolyne Kujo. Avete fatto buon viaggio?»
«Sì, GER, ti ringrazio. E grazie anche a te, Weather», disse rivolta al dio, salutandolo con la mano. Lui sorrise e ricambiò il gesto, levandosi poi in volo in un turbine di vento.
«Bentornata, Jolyne. Hai trascorso una giornata serena con le tue sorelle?» Ed ecco la voce del suo futuro sposo, di nuovo nascosto da lei.
«Sì, Haruno, mi ha fatto molto piacere rivederle, anche se per poco tempo.»
«Sono lieto di sentirlo. Purtroppo non potrò permetterti di tornare da loro molto presto. Cerca di capire che è per la tua sicurezza.»
«Come mai?»
«Non posso dirtelo.»
«E perché?» chiese lei, mettendosi le mani sui fianchi. «Se qualcosa è un pericolo per me direi di avere il diritto di saperlo.»
«Non insistere, Jolyne.»
«Io insisto eccome! Come puoi pretendere di tenermi chiusa qui senza neanche darmi una spiegazione?»
«Tutto ciò che posso dirti è che hai una nemica molto potente, e se sapesse che sei qui saresti in pericolo di vita.»
«E chi è questa persona? Perché ce l’ha con me?»
«Basta così. Non posso dirti altro.»
«Ma–»
«Basta, Jolyne.»
Il tono di Haruno fu così fermo e perentorio che qualsiasi protesta le si smorzò in gola. Abbassò la testa, stringendo i pugni per trattenere l’immensa ondata di rabbia che la stava attraversando.
Le era successo spesso che le persone, suo padre per primo, non le spiegassero come stavano le cose per ragioni di “sicurezza”. Come se lei non fosse in grado di difendersi da sola, come se non fosse in grado di sopportare le difficoltà. Come se fosse una creatura fragile da tenere nascosta sotto una campana di vetro. Questa era una cosa che l’aveva sempre fatta imbestialire.
Calò un silenzio pesante in cui lei cercò di calmarsi abbastanza per pronunciare le successive parole.
«Se non ti spiace, vado in camera mia. Vorrei riposarmi un po’.»
«Certo. Non ti trattengo.»
«Vi serve qualcosa prima, Jolyne Kujo?»
«No, ti ringrazio. Voglio solo dormire. E basta con questo “Jolyne Kujo”, va bene anche solo “Jolyne”.»
«Come preferite, signorina Jolyne.»
La ragazza scrollò le spalle, consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsi chiamare solo per nome, poi se ne andò infuriata verso la sua stanza.
Una volta soli, GER si avvicinò al suo padrone.
«Siete stato molto duro con la signorina Jolyne. Questo non la renderà felice di essere tornata.»
«Ne sono consapevole. Mi spezza il cuore darle questo dispiacere, ma non posso fare altrimenti: se per disgrazia mia madre dovesse vederla uscire da qui, capirebbe tutto e le farebbe qualcosa di orribile. Non posso permettere che accada qualcosa alla donna che amo.»
«Certo, noi due lo sappiamo bene, ma la signorina Jolyne? Forse è arrivato il momento di dirle tutto.»
«Sai bene che non posso farlo. Come la prenderebbe se sapesse che il suo futuro marito è un dio? E poi ti rammento che le unioni tra dèi ed esseri umani sono mal viste.»
«Questo non ha mai trattenuto il nobile Dio Brando dall’accoppiarsi spesso con loro.»
«Io non sono come mio padre.»
«Avete ragione. Voi fate nell’ombra ciò che lui fa alla luce del Sole.»
«Modera i termini, GER. Rammenta chi è il tuo interlocutore.»
«Le mie scuse, padrone», disse lo Stand, chinando brevemente il capo. «Tuttavia ciò che ho detto corrisponde a ciò che penso: non potete aspettarvi che la signorina Jolyne vi sposi rimanendo ignara della vostra identità. Pertanto ritengo che sia arrivata l’ora di spiegarle tutto. È una fanciulla intelligente, sono sicuro che comprenderà le vostre ragioni.»
«Hai parlato abbastanza. Lasciami solo ora.»
«Agli ordini, padrone.»
Lo Stand si dileguò, e Giorno rimase da solo con i propri pensieri, indeciso come non mai.
***
Jolyne passò il resto della mattina a dormire e per tutta la giornata non uscì mai dalla sua camera; sia il pranzo che la cena se li fece portare da GER, rifiutandosi categoricamente di mangiare con Haruno. Prima di andare a dormire, seduta sul letto, si rigirò tra le mani la lanterna spenta che aveva tirato giù da una delle pareti della sua stanza.
“Devo essere impazzita. Non posso voler davvero infrangere una promessa.”
Tuttavia, le parole di F.F. e di Ermes continuavano a rimbalzarle nella testa, e di certo non aiutava il fatto che Haruno sembrava voler continuare a stare nascosto; non solo, ma le aveva anche detto che non le avrebbe fatto rivedere la sua famiglia molto presto perché “era pericoloso”.
“Che poi, perché dovrebbe esserlo? Cos’è, ha paura che Weather si stanchi di dovermi sempre portare a terra e decida di mollarmi in volo?”
Non capiva, e non capiva neanche perché lui si rifiutasse di darle delle spiegazioni. L’aveva ferita immensamente sapere che anche lui era come gli altri, che anche lui non credesse nella sua forza e cercasse sempre di tenerla all’oscuro di tutto.
“Lo so che facendo così mi abbasserei al suo livello, ma non ne posso più di non sapere le cose.”
Le altre luci si spensero all’improvviso, segno che fuori dalla porta c’era Haruno; infilò in fretta la lanterna sotto il letto, e subito dopo il suo ospite chiese il permesso di entrare. Una volta concessogli, la porta si aprì e si richiuse piano.
«Oggi non sei scesa né a pranzo né a cena», cominciò lui, raggiungendo i piedi del letto.
«Non mi andava molto di mangiare insieme a te. O meglio, insieme alla colonna.»
«Sono consapevole che questa situazione non debba essere facile per te, e me ne rammarico immensamente. Io stesso, se mi fosse possibile, non esiterei a raccontarti tutto.»
«Ma non lo fai perché vuoi proteggermi, dico bene?»
«Sì. So che per te questa non è che una frase priva di significato, come che io non accendo in te alcun interesse, ma tu per me hai un valore inestimabile. Morirei se ti accadesse qualcosa di male, e ucciderei chiunque dovesse fartene.»
«Se così fosse, e se davvero riconoscessi il mio valore, allora mi metteresti al corrente del pericolo che corro. Invece ti ostini a rimanere in silenzio nell’ombra.»
«La tua forza e la tua determinazione sono qualità che ammiro immensamente in te, ma temo che non basterebbero a sconfiggere la tua nemica.»
«Allora ti basterebbe aiutarmi a sconfiggerla.»
«Jolyne…»
«Siediti con me», disse la giovane, dando dei colpetti sul letto vicino a lei.
L’altro si sedette cercando di tenere una certa distanza da lei, ma Jolyne gli andò vicino e appoggiò una mano sulla sua spalla.
«Haruno. Io non sono fragile. Non c’è bisogno che tu mi protegga, perché mi so proteggere da sola.»
«Non stavolta, mia adorata», disse lui, prendendole la mano e portandosela alle labbra. «Nemmeno io potrei nulla contro la forza di colei che ti minaccia.»
Jolyne rimase in silenzio per un minuto.
«Haruno», disse infine, ritraendo la mano e spingendo il compagno fino a farlo sdraiare sul letto, posizionandoglisi poi a cavalcioni. «Facciamolo.»
«J-Jolyne? Non credo che–»
«Se accetto di sposarti,» continuò lei, «tu accetterai di raccontarmi la verità?»
«Non posso.»
«Mi permetterai, almeno, di vederti?»
«Non posso.»
La ragazza sospirò, appoggiando il volto contro il collo di lui e strusciandosi sensualmente sul suo corpo.
«È crudele da parte tua impedirmi di vedere l’aspetto del mio futuro sposo.»
«Mia amata,» sussurrò lui, appoggiando le mani sui suoi fianchi per trattenerla, «ti prego di fermarti. Non credo tu sappia veramente ciò che vuoi.»
«Sì che lo so, Haruno», gli sussurrò lei all’orecchio. «E in questo momento ho davvero voglia di farlo con te.»
«Dovresti concederti solo all’uomo che ami.»
«Se ti preoccupano così tanto i miei sentimenti, puoi chiedere al dio dell’amore di colpirmi con una delle sue frecce. Così saresti sicuro che dico il vero.»
Giorno deglutì: il suo controllo stava pian piano cedendo, complici anche le attenzioni di Jolyne. Era sempre più combattuto, perché da una parte sentiva il bisogno di tenerla al sicuro da qualsiasi pericolo, e dall’altra l’ardente desiderio di raccontarle tutto e renderla a tutti gli effetti parte del suo mondo. E questo secondo desiderio stava avendo la meglio su di lui.
«… E sia», disse infine. «Se acconsentirai a diventare mia moglie, giuro di raccontarti la verità.»
«Sul serio?» fece lei, incredula, tirandosi su con la schiena. «Non mi stai mentendo, vero?»
«Assolutamente no. Non potrei mai mentirti. Dunque, permettimi di chiedertelo formalmente», continuò lui, mettendosi a sedere e materializzando una freccia nella mano dietro la schiena. «Jolyne Kujo, vorresti prendermi, qui e davanti agli dèi, come tuo sposo?»
La principessa non poteva crederci: finalmente tutte le sue domande avrebbero avuto una risposta!
«Sì, Haruno, lo voglio.»
L’interpellato si impadronì delle sue labbra, cingendole il collo con la mano sinistra, mentre con la destra procedeva a colpirla con la freccia all’altezza del cuore.
Il piacere che Jolyne provò nel corso della loro prima vera notte insieme le fece dimenticare completamente il dolorino che aveva sentito in quel momento.
***
Quella notte Giorno restò a dormire insieme a lei: sebbene l’avesse colpita con una delle sue frecce ancora non lo aveva visto in faccia, quindi era di fondamentale importanza che lui fosse la prima persona che avrebbe visto appena aperti gli occhi. Mancava sempre meno al momento in cui avrebbe dovuto mantenere la promessa, ma si sentiva estremamente tranquillo: Jolyne si sarebbe innamorata di lui e sicuramente avrebbe capito le sue ragioni per tenerla al sicuro nel palazzo. Perciò si addormentò sereno, ignaro delle intenzioni della principessa.
La ragazza, infatti, aspettò che il suo futuro sposo si addormentasse (riuscendo a resistere grazie alle ore di sonno che aveva accumulato nel corso della giornata) e, non appena il respiro di lui si fu regolarizzato, si protese e tirò fuori da sotto il letto la lanterna che vi aveva nascosto qualche ora prima. Una volta accesa, fece un respiro profondo per incoraggiarsi a proseguire, quindi la portò sopra il suo compagno e rimase sbalordita: lì nel letto con lei c’era un ragazzo giovane, forse qualche anno più grande di lei, sdraiato prono; lunghi capelli dorati ricadevano su una schiena snella, ma forte, e incorniciavano un viso angelico lievemente abbronzato. Gli occhi erano nascosti da lunghe ciglia, e Jolyne provò il forte desiderio di vederli.
In vita sua non aveva mai visto un uomo più bello.
“È lui che dovrò sposare?” pensò, mentre il suo cuore batteva sempre più velocemente.
Rimase a rimirarlo a lungo e, più passava il tempo, più si rendeva conto di essersi perdutamente innamorata nel momento in cui aveva posato lo sguardo su di lui.
L’incanto, però, non durò a lungo: una goccia di olio bollente cadde sulla spalla del giovane, il quale si svegliò di soprassalto e, vedendo Jolyne sveglia con una lanterna in mano, capì immediatamente cosa fosse successo.
«Che. Cosa. Hai. Fatto.»
«H-Haruno, io–»
«Hai infranto la promessa!» gridò lui, facendola sussultare. «Non avevi che da attendere poche ore prima di potermi vedere! Come hai potuto venire meno alla parola data?»
«I-Io non lo sapevo–»
«Ti avevo pur detto che ti avrei raccontato la verità, e pensavo che la mia fiducia fosse ben riposta in te. Ma vedo che mi sbagliavo.»
Giorno si alzò e indossò in fretta la tunica corta che portava sempre.
«Devi andartene da qui.»
«Aspetta, Haruno!» esclamò lei, alzandosi in piedi e usando il lenzuolo per coprirsi. «Mi dispiace non aver mantenuto la promessa, ma cerca di capirmi: hai sempre rifiutato di darmi delle risposte e mi hai sempre trattata come se fossi una ragazzina da tenere nascosta da un pericolo che vedi solo tu!»
«Non è frutto della mia immaginazione, Jolyne! Esiste, e se avessi avuto la pazienza di aspettare fino a domattina avresti avuto tutte le risposte che desideravi!»
«Allora parla: chi è questa persona che mi vuole fare del male?»
«Perché dovrei dirtelo?» chiese lui, guardandola con due occhi azzurri talmente freddi da farle ritirare il suo desiderio di vederli. «Come puoi chiedermi di mantenere una promessa dopo averne infranto una tu stessa?»
«Haruno, ti prego», lo implorò lei, chiudendosi una mano a pugno sul petto, «basta con i segreti.»
L’interpellato chiuse gli occhi e sospirò.
«E sia», acconsentì, tornando a guardarla serio.
E così le raccontò tutta la storia, mentre lei lo ascoltò senza interromperlo nemmeno una volta e approfittandone per rivestirsi.
«Hai detto che ti sei conficcato una freccia nel piede quando hai provato a lanciarla contro di me,» disse una volta che lui ebbe finito, «quindi questo vuol dire che…?»
«Sì. Come ti aveva detto GER la tua prima notte qui, Haruno Shiobana assomiglia molto al mio vero nome. In realtà mi chiamo Giorno Giovanna, e sono il dio dell’amore.»
La ragazza si portò le mani davanti alla bocca. Il dio dell’amore! Era una cosa talmente sconvolgente che fece non poca fatica a capacitarsene. Haruno Shiobana… Giorno Giovanna… Che stupida, come aveva fatto a non accorgersene prima?!
«E presumo che la freccia abbia fatto effetto anche su di te, ormai.»
«Quale freccia?»
«Quella con cui ti ho colpita ieri notte. Ora che mi hai visto dovresti esserti innamorata di me.»
Lei arrossì e distolse lo sguardo, ma annuì.
Il dio sospirò di nuovo.
«Ormai ha poca importanza. Per quanto io stesso ti ami, non posso perdonare il tuo atto di slealtà. Non ho intenzione di approfittare ulteriormente della gentilezza di Weather, perciò ti riporterò io stesso sulla Terra, e in via definitiva.»
«Cosa? No, aspetta, non voglio andarmene!»
«E io non desidero che tu rimanga. Non sopporterei di trascorrere un altro minuto in tua presenza», il suo tono glaciale fu come una stilettata al cuore della giovane.
«Mi dispiace infinitamente, credimi! Non era mia intenzione farti soffrire!»
«Come ho detto, non ha più importanza. Prendi le tue cose, partiamo immediatamente», concluse lui, cominciando ad andarsene.
«Har–»
«GIORNO!» tuonò una voce femminile oltre la porta, e l’interpellato si congelò all’istante.
«Jolyne, presto, nasconditi!»
Ma era troppo tardi. La ragazza ebbe appena il tempo di registrare le sue parole che la porta si spalancò, rivelando una donna giovane dai lunghi capelli neri e gli occhi viola.
«Allora è vero ciò che mi hanno riferito le mie ancelle: hai portato la mia nemica mortale qui nel tuo palazzo! E noto con profondo disgusto che hai anche giaciuto con lei!»
«Madre, posso spiegare–»
«Silenzio!» esclamò la dea, adirata, voltandosi poi verso la giovane. «Non solo hai osato infangare il mio nome paragonandoti a me, la dea della bellezza, ma hai anche avuto l’ardire di irretire mio figlio con le tue malie. Ti pentirai amaramente di ciò che hai fatto, piccola svergognata!»
Detto questo, i suoi capelli si allungarono a dismisura, presero Jolyne per il collo e la sollevarono in aria; la giovane sentì di iniziare a soffocare e si portò istintivamente le mani alla gola. “Paragonarsi a lei”? “Irretire suo figlio”? Non aveva mai fatto niente del genere!
«Madre, vi prego, fermatevi!» stava dicendo Giorno. «Lei non ha colpa per ciò di cui la accusate!»
«Taci, figlio degenerato! La punirò come tu non sei stato in grado di fare!»
La presa si stava stringendo sempre di più, e la principessa non sapeva come sarebbe potuta uscire da quella situazione. Giorno aveva ragione: la sua nemica era davvero troppo potente, e lei era stata una sciocca a non credergli.
«Ha…ru…no», rantolò, tenendosi il collo con una mano e stendendo l’altra verso il dio, che la guardava con il terrore negli occhi.
«È già stata punita!» esclamò lui, e Yukako allentò di poco la presa, volgendo la sua attenzione sul figlio.
«Spiegati.»
«Io…», Giorno si inumidì le labbra. «L’ho colpita con una delle mie frecce poche ore fa. Adesso è innamorata di me, come io lo sono di lei. Tuttavia, per voi sono disposto a rinunciare a lei. Verrà allontanata immediatamente da questo palazzo e non vi farà più ritorno.»
«Non mi sembra un castigo adeguato alla gravità delle sue colpe.»
«La sua vera punizione,» continuò lui, guardando sua madre negli occhi, «sarà una vita senza amore. Non potrà più ricambiare altro amore che il mio e, al contempo, non potrà mai avere colui che più brama.»
La dea continuò a guardarlo impassibile, ma in realtà stava valutando le sue parole.
«Vi supplico, madre, lasciatela andare. L’errore è stato mio: farò ammenda nel modo che più riterrete opportuno. E la punizione di Jolyne durerà per tutta la vita.»
Yukako attese qualche altro attimo, poi rilasciò la presa sulla principessa, che cadde a terra e iniziò a tossire forte. Quando Giorno cercò di avvicinarsi a lei, la madre glielo impedì.
«E sia, Giorno. Discuteremo del tuo castigo più tardi. Per ora, mi occuperò personalmente di rispedire questa disgraziata tra i mortali.» Detto questo, la sollevò di nuovo in aria e la spedì a tutta velocità fuori dalla finestra.
«Haruno!»
«Jolyne!» gridò lui, stendendo la mano. «Madre, non fatele del male!»
«Sarà il destino a deciderlo. Come e dove atterrerà non è affar mio. E ora, pensiamo a te.»
Il dio abbassò la testa e chiuse gli occhi. Avrebbe accettato il suo castigo, qualunque esso sarebbe stato. Ormai non gli importava più di nulla.
«Sì, madre.»
***
La fortuna sembrò assistere Jolyne, la cui caduta fu attutita da un turbine di vento che la depositò delicatamente al suolo. Subito dopo arrivò anche il dio che lo aveva evocato.
«Jolyne Kujo.»
«Grazie, Weather. Tempismo perfetto.»
«Avresti la grazia di dirmi cos’è accaduto?»
«Sua madre mi ha trovata con lui. Non l’ha presa molto bene.» Era superfluo specificare di chi stesse parlando.
Il dio annuì, grave.
«Mi dispiace per l’accaduto, Jolyne Kujo.»
«Non è colpa tua. Anzi, grazie di nuovo per avermi salvata.»
L’altro annuì di nuovo, poi si librò in volo senza aggiungere altro.
Rimasta sola, Jolyne rimase ancora un po’ sdraiata a terra.
Era bastato un errore e aveva perso tutto. Maledette lei e la sua curiosità.
«Yare yare dawa», sospirò, coprendosi gli occhi con un braccio.
***
Al sorgere del Sole venne trovata da uno dei suoi sudditi che, riconoscendola, corse a chiamare aiuto e in poco tempo la principessa si trovò di nuovo al castello, circondata dalla sua famiglia. F.F. ed Ermes insistettero molto per sapere cosa le fosse successo ma lei rifiutò di aprirsi con loro: benché si rendesse conto che non era stata colpa loro, era restia nei loro confronti per averla istigata a indagare sulla vera identità di Giorno.
Trascorse qualche giorno al castello, cercando di riprendersi dalla brutta disavventura che le era capitata, e nel frattempo non poteva che sentirsi sempre più triste: adesso che finalmente era in grado di ricambiare l’amore di Giorno, il pensiero che non l’avrebbe mai più rivisto la lacerava profondamente. Inoltre, era molto preoccupata per lui, dato che conosceva la magnanimità ma anche la severità di Yukako.
“Chissà in che modo lo ha punito. E tutto per colpa mia”, non faceva che pensare, cercando di ricacciare indietro le lacrime ma non sempre riuscendoci.
Più i giorni passavano più la giovane sembrava diventare l’ombra di quella che era un tempo, e alle sorelle spezzava il cuore vederla così; perciò, mandarono a chiamare l’unica persona che sapevano avrebbe potuto darle un po’ di conforto.
«Ehi, Jolyne.»
«Reimi!» esclamò l’interpellata, alzandosi dal letto e andando ad abbracciarla. «Non hai idea di quanto mi sei mancata!»
«Se ti sono mancata la metà di quanto tu sei mancata a me, allora deve essere davvero un’enormità», sorrise lei, ricambiando la stretta e poi allontanandosi per guardare l’amica. «Mi sono precipitata qui non appena mi è giunta voce che non ti senti troppo bene.»
La principessa sorrise amaramente.
«Le notizie volano più veloci del messaggero degli dèi, vedo.»
La ragazza dai capelli rosa la guardò, sorridendole con comprensione.
«Sai cosa pensavo? Che sono secoli che io, te e Arnold non facciamo una passeggiata insieme. Ti andrebbe di andare al nostro solito boschetto? Credo che un po’ d’aria ti farebbe bene.»
Jolyne tentennò, ma decise infine di accettare: aveva proprio bisogno di una distrazione e di un buon consiglio, e Reimi era sempre stata bravissima nel darle entrambi.
***
«Oh, tesoro, quanto mi dispiace! Devi aver sofferto tantissimo», disse Reimi una volta ascoltata la storia di Jolyne; Arnold, durante il racconto, era sempre rimasto in grembo alla principessa in modo che potesse accarezzarlo e sentirsi un po’ meglio.
«Sì, non è stato facile. E adesso mi sento tremendamente in colpa.»
«Certo, è normale: hai tradito la fiducia di qualcuno che ti amava così caramente, ma avevi i tuoi buoni motivi. In più, per come la penso io, in questa storia tutti hanno una colpa: Giorno avrebbe dovuto essere sincero con te fin dall’inizio, e Yukako è stata profondamente ingiusta nei tuoi confronti. Non è colpa tua se sei una ragazza splendida, e certamente non è colpa tua se suo figlio si è innamorato di te.»
«Ti ringrazio per le tue parole. Contano davvero molto per me.»
«Cerco solo di essere obiettiva, e tu,» disse, accarezzandole la testa con tenerezza, «sei troppo dura con te stessa. Ricorda che non hai colpa per tutte le disgrazie del mondo.»
Jolyne sorrise, sentendo un profondo affetto verso la sua più cara amica.
«Adesso cos’hai intenzione di fare?»
«Non lo so, Reimi», sospirò, appoggiando le mani a terra dietro di sé e spostandoci sopra tutto il suo peso. «Non voglio rinunciare a lui così facilmente, però ho paura che se tornassi gli renderei le cose ancora più difficili. Non voglio complicargli ulteriormente la vita.»
«Ma non sei sicura che possa succedere: esiste sempre la possibilità che tu riesca a sistemare tutto. Invece, se non farai niente stai pur certa che le cose non muteranno di una virgola», commentò la giovane dai capelli rosa, accarezzando la testa di Arnold. «Sei una ragazza forte e determinata, Jolyne, e sono sicura che se ti impegnerai al massimo potrai riavere indietro l’uomo… ehm, dio, che ami.»
«Il problema è sua madre: è infinitamente più forte di me e mi odia a morte. Non sarà affatto facile convincerla a lasciarmi vedere Giorno.»
«Se non puoi batterli con la forza, battili con l’ingegno. E tu ne hai a volontà, mia cara.»
«E se–»
«Jolyne», disse la compagna, seria, prendendola per le spalle. «Rispondi a questa domanda: tu ami Giorno?»
«Certo. Con tutta me stessa.»
«E il pensiero di dover passare il resto della tua vita senza poterlo più avere tra le tue braccia come ti fa sentire?»
«Come se mi avessero strappato il cuore dal petto.»
«E non è forse vero che attraverseresti l’Ade se ciò significasse rivederlo?»
«S-Sì», rispose la principessa, con gli occhi lucidi.
«No, Jolyne, ti voglio decisa: attraverseresti l’Ade per lui?»
«Sì!»
«Eccellente», disse l’amica, sorridendo. «Allora mettiti in marcia. A quest’ora non dovrebbe esserci nessuno in visita al tempio della dea della bellezza.»
La principessa sorrise di nuovo con affetto.
«Grazie, Reimi. Sei uno splendore di ragazza, e l’amica migliore che potessi chiedere.»
«E tu lo sei per me, mia cara.»
«Lo sai,» continuò la prima, asciugandosi gli occhi, «credo che a tuo marito piacerebbe molto questa storia.»
L’altra rise.
«Sì, sono certa che il mio Rohan potrebbe trovare grande ispirazione dalla tua vicenda. Se me lo permetterai, gliela racconterò molto volentieri, ma solo una volta che avrò ascoltato il finale. E sarà meglio che si concluda con un matrimonio», concluse, strizzandole l’occhio.
***
Arrivata al tempio, Jolyne prese un profondo respiro per darsi coraggio, poi entrò e si ritirò in preghiera. Passarono molte ore ma la dea non si fece mai vedere; tuttavia, la ragazza non demorse e ritornò giorno dopo giorno, pregando quasi per intere giornate finché, dopo una settimana, Yukako si presentò davanti a lei.
«Come osi, piccola svergognata, seguitare a profanare in questo modo il mio sacro tempio?»
«Potente dea Yukako,» disse lei, senza scomporsi, «se continuo a farvi visita ogni giorno è perché vorrei chiedervi la grazia di lasciarmi incontrare vostro figlio.»
«Ah! Quanta insolenza! Ebbene, sappi che non ti permetterò mai più di vedere Giorno: non solo lui resterà rinchiuso nel mio palazzo per un lungo tempo, ma tu non sei degna di poterlo incontrare.»
«Allora, grande e magnanima dea, concedetemi di dimostrare il mio valore: mettetemi alla prova e sono sicura che potrò farvi cambiare idea.»
«Con quale impertinenza mi chiedi di accordarti un simile favore?» tuonò lei. «Hai tradito la fiducia di mio figlio e osato paragonarti a me! Niente riuscirà a restituirti neanche un briciolo di valore ai miei occhi!»
«Voi siete in errore, mia signora», continuò la ragazza, ponderando bene le sue parole. «Io non potrei mai avere l’ardire di considerarmi più bella di voi, l’incarnazione stessa della bellezza. Quelli non sono che sciocchi pensieri di uomini ancora più sciocchi. Quanto al resto, sì, sono colpevole di ciò di cui mi accusate, ma non l’ho fatto in cattiva fede: amo profondamente Giorno, e il pensiero di avergli fatto un torto così grande mi lacera l’anima. Vorrei dunque poter avere l’occasione di rimediare,» la guardò dritta negli occhi, decisa, «o perire nell’intento.»
Jolyne sapeva che con queste parole l’avrebbe convinta, perché se c’era una cosa che Yukako voleva era vederla morta: quale occasione migliore che provare a togliersela di torno, una volta per tutte, senza dover muovere un dito?
La dea, infatti, si prese lunghi minuti per riflettere attentamente sulla proposta.
«E sia», concesse infine. «Ti sottoporrò a quattro prove: se riuscirai a superarle tutte, ti concederò di rivedere il tuo amato. Ma bada, basterà fallirne anche una sola e ti assicuro che non lo vedrai mai più. O perirai nell’intento, come dici tu», sorrise, crudele.
Jolyne accettò senza esitare. Non ci pensava neanche a darla vinta a quella brutta megera.
***
Il giorno dopo si recò in un campo non lontano dal tempio: Yukako, infatti, come prima prova le aveva ordinato di dividere un mucchio di semi in mucchietti più piccoli, diversi per tipo di seme. Quando però la ragazza vide l’effettiva grandezza del mucchio rimase interdetta: era alto quanto metà di lei e grosso il doppio. Ci avrebbe messo una vita a dividerli tutti, e lei aveva solo fino al tramonto!
Cercò di non disperarsi e si mise all’opera ma, quando ormai non mancavano che poche ore al calar del Sole, dovette arrendersi: sarebbe stato impossibile farcela in tempo.
Mentre pensava a un modo per ottimizzare i tempi, qualcuno si avvicinò a lei.
«Ha bisogno di aiuto, signorina?»
La ragazza guardò il nuovo arrivato: era un ragazzino, molto basso e tarchiato; al posto dei capelli aveva dei piccoli spuntoni e sembravano mancargli alcuni denti.
«In effetti mi farebbe comodo una mano. Vedi, devo dividere questi semi in base al loro tipo, e non mi è rimasto più molto tempo.»
«Capisco. Sarei felice di assumermi l’incarico, purché riceva un compenso, ovviamente.»
«Un compenso? E cosa potrei mai darti? Non ho denaro con me.»
«I suoi orecchini sono davvero belli. Quegli smeraldi hanno un taglio sopraffino.»
La principessa si toccò i lobi: quegli orecchini glieli avevano regalati Ermes e F.F. per lo scorso compleanno, ma era ben felice di separarsene se significava completare la prova.
«Te li do molto volentieri, anzi», continuò, togliendosi i gioielli e consegnandoli al ragazzino, «se riuscirai a finire entro due ore ti darò anche questo», disse, mostrandogli l’anello di rubini che portava al dito: glielo aveva regalato Anasui, e aveva talmente insistito che era stata costretta ad accettarlo. Finalmente poteva sbarazzarsene.
«D-Davvero lo farebbe? La ringrazio, gentile e bella signorina! Mi metto subito al lavoro!» E senza attendere oltre, il ragazzino evocò una schiera di creaturine dorate di forma ovale che cominciarono a dividere i semi con velocità ed estrema precisione.
Jolyne era sbalordita: non aveva mai visto niente del genere! Anzi, in realtà quelle creature le ricordavano molto GER. Quindi forse anche quello strano ragazzino era un dio?
Dopo soli quarantacinque minuti i semi erano stati tutti divisi, e del mucchio iniziale non era rimasto nulla.
«Ecco fatto signorina! E ben prima della scadenza!»
«Sei stato bravissimo. Ecco, tieni», disse lei, sfilandosi l’anello e consegnandoglielo.
«Ooooh, la ringrazio ancora infinitamente! Questo anello è dei più pregiati che abbia mai visto. È sicura di volersene liberare?»
«Assolutamente. Non ha alcun valore sentimentale per me. Piuttosto,» continuò, «non ti ho ancora chiesto come ti chiami.»
«Shigekiyo Yangu. Ma la signorina può chiamarmi Shigechi.»
«Io sono Jolyne Kujo, ma forse mi conosci già.»
«Oh sì. Il mio Harvest mi ha parlato spesso di lei di ritorno dai suoi giretti.»
«Harvest? Sono le creature che hai evocato poco fa?»
Il ragazzino annuì.
«E dimmi, per caso Harvest è uno Stand?»
Ricevuto un altro assenso, proseguì.
«Sai, assomiglia un po’ a quello di qualcuno che conosco. Per caso sei anche tu un dio?»
«Corretto», rispose lui, gonfiando il petto d’orgoglio. «Sono il dio che protegge la semina.»
«Ah sì? Perdonami, ma non ti avevo mai sentito. Sei forse una divinità minore?»
«Sì, ma ciò non significa che io sia meno potente o importante degli altri», rispose Shigechi, accigliandosi e gonfiando le guance.
«Scusa, non era mia intenzione sminuirti. Ti assicuro che l’aiuto che mi hai dato ha dimostrato ampiamente il tuo valore.»
«Mpf. Certo, nessun altro avrebbe potuto compiere un’impresa del genere! Adesso però devo salutarla, signorina: mi aspettano altre faccende.»
«Vai pure, e grazie di nuovo per la tua gentilezza.»
«Quando vuole», la salutò lui, sparendo in mezzo al grano.
Quando Yukako vide che tutti i semi erano stati divisi si infuriò tremendamente, ma diede comunque appuntamento a Jolyne al giorno dopo per la seconda prova.
Una volta sola, la ragazza sospirò. La prima prova era andata.
***
«Padrone, sono giorni che mangiate a malapena. Dovete provare a mandare giù qualcosa.»
«Non ho appetito, GER. A noi dèi, comunque, non occorre il cibo per sopravvivere.»
«Però vi servono le energie che questo vi porta.»
«E come potrei usarle? Ora che sono rinchiuso qui non c’è nulla che le richieda.»
Sua madre, dopo aver rispedito la sua amata tra i mortali (viva, grazie a Weather, come aveva scoperto quando era venuto a fargli visita), lo aveva portato nel proprio palazzo e l’aveva rinchiuso nelle sue stanze, vietandogli di uscire per qualsiasi motivo. Adesso non solo aveva perso Jolyne, ma anche la libertà, i suoi due più grandi amori.
Per Giorno era una tortura immensa stare chiuso in un luogo senza avere la possibilità di lasciarlo, e Yukako lo sapeva bene: la cosa che più gli piaceva del suo lavoro era poter svolazzare in giro come più lo aggradava per portare amore in una terra dove altrimenti avrebbe regnato l’odio. Sapeva che sua madre non avrebbe potuto tenerlo lì per sempre, ma quanto più rimaneva lì, tanto più a lungo il mondo sarebbe dovuto restare senza amore: infatti, il solo modo che avevano le persone per innamorarsi era di essere colpiti dalle sue frecce, per questo aveva dovuto usarne una anche su Jolyne.
Il dio strinse le labbra: ecco che pensava di nuovo a lei, la donna che aveva avuto in mano il suo cuore e aveva deciso di gettarlo a terra e calpestarlo. Non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia, ma il pensiero di poter giacere affianco alla sua amata lo aveva allettato a tal punto da fargli dimenticare ogni precauzione. Tale era l’effetto che Jolyne aveva su di lui, ed era troppo pericoloso. Forse era stato un bene allontanarla.
«Potreste impiegarle per pensare a un modo per convincere la nobile Yukako a permettervi di rivedere la vostra amata.»
«Sarebbe futile: Jolyne è una minaccia per lei e la sua bellezza, pur essendo una semplice umana, e io ho disobbedito a un suo preciso ordine. La conosci bene, quando si tratta di certe questioni è irremovibile.»
«Conosco anche voi, e so che la signorina Jolyne è troppo importante per voi per lasciarla andare così facilmente.»
«Hai centrato il punto, GER: è troppo importante per me, e per lei arriverei a compiere le più insensate follie. È un bene che sia tornata tra la sua gente.»
«A questo non credete nemmeno voi, padrone.»
Il dio gli scoccò un’occhiataccia.
«Lei mi ha tradito. Ha infranto la promessa che mi aveva fatto nell’istante esatto in cui ha deciso di indagare sulla mia identità. Non posso perdonare un tradimento, proprio non posso.»
«Però potete cercare di capire il perché l’abbia fatto: la signorina Jolyne era felice con voi, l’ho potuto vedere ogni qualvolta trascorrevate le serate chiacchierando, ma non le piaceva stare rinchiusa, esattamente come non piace a voi.»
Giorno distolse lo sguardo, ma non disse nulla.
«Inoltre, deve essersi sentita estremamente frustrata a non conoscere con precisione il movente che vi ha spinto a vietarle qualunque interazione con la propria famiglia. Ritengo che abbia pensato che non la consideraste una vostra pari, ma un’infante da proteggere anche contro se stessa.»
«Questo non è vero: non l’ho mai vista come niente meno di ciò che è, ovvero una splendida giovane donna ricca di virtù. Ma contro mia madre, purtroppo, non avrebbe potuto nulla.»
«Lei non poteva saperlo. Non fino a che avete deciso di tacerle la verità, almeno.»
«Non ha più importanza ormai. Non la rivedrò mai più e, quand’anche dovessi uscire da qui, mi accerterò di non incontrarla, onde evitare che l’ira di mia madre ricada nuovamente su di lei. È meglio così, per tutti e due.»
Lo Stand sospirò.
«La vostra ostinazione non farà che portarvi dolore. Spero che il vostro cuore sia abbastanza forte per sopportarlo.»
«Lo sarà. Lo sto preparando da quando sono qui.»
***
Jolyne arrivò al luogo dell’appuntamento, ovvero un pascolo dove un branco di pecore dalla lana d’oro stava brucando l’erba. La seconda prova consisteva nel prendere un po’ di quella lana e, sebbene sembrasse un’impresa semplice, la ragazza era guardinga: dopotutto, l’obiettivo della dea era sbarazzarsi di lei, quindi non avrebbe avuto senso facilitarle le cose.
Cominciò ad avvicinarsi a una pecora, ma non era neanche a tre metri da lei che questa alzò la testa e la guardò in modo così aggressivo che la ragazza pensò bene di tenersene lontana. Provò a fare lo stesso con le altre, ma il risultato fu sempre lo stesso, anzi, una di loro cercò addirittura di aggredirla, ma grazie alla sua prontezza di riflessi riuscì a mettersi in salvo su un albero.
«Ma che cazz–? Si può sapere cos’hanno queste pecore?!»
«Non devi avvicinarti a loro, nee-chan.»
La ragazza, non aspettandosi di ricevere una risposta, trasalì e guardò in basso: un ragazzino biondo e dalla carnagione abbronzata la guardava con grandi occhi dorati da sotto il ramo su cui si trovava.
“Perché ultimamente non faccio che incontrare ragazzini?” si chiese lei, decidendosi infine a scendere dall’albero.
«Già, ne ho avuto la conferma. Ma perché sono così aggressive?»
«È il Sole a renderle così. Quando è giorno nulla riesce a imbonirle abbastanza da potersi avvicinare a loro, e venire attaccati da loro significa morte certa.»
Ecco dov’era l’inganno. Aveva fatto bene a fidarsi del suo istinto.
«Maledizione! Devo a tutti i costi prendere un po’ della loro lana», imprecò lei, cominciando poi a riflettere. «E se invece il Sole non ci fosse? Se aspettassi fino a stanotte riuscirei ad avvicinarmi?»
«Invero. Però non ti consiglio comunque di farlo: se è il loro vello che ti occorre, puoi prendere quello che rimane attaccato ai cespugli durante la giornata.»
La ragazza annuì.
«Mi sembra una buona idea. È più sicuro.»
«Se vuoi,» proseguì il bambino, «posso spingerle verso i cespugli, dimodoché ne rimanga attaccato di più.»
«Oh, non potrei mai chiederti di fare una cosa così pericolosa! In fondo, a me non ne occorre moltissimo, basterà quello che c’è.»
«Non devi preoccuparti per me», disse lui, sparendo come inghiottito dal suolo e riapparendo sopra l’albero. «Il mio potere mi consente di spostarmi velocemente da un posto all’altro.»
«Potere? Sei anche tu un dio?»
Il ragazzino annuì.
«Sì. Mi chiamo Emporio Alniño, e proteggo i bambini dagli spaventi improvvisi.»
“Un’altra divinità minore”, pensò la ragazza, stavolta tenendosi i suoi pensieri per sé.
«Non posso che ringraziarti, allora. A proposito, vuoi qualcosa in cambio?»
«Non occorre, nee-chan. Tienimi solo compagnia fino al tramonto. Ultimamente mi sento un po’ solo.»
La principessa acconsentì, ed Emporio si mise subito all’opera: attirava le pecore fino ai cespugli più vicini e vi ci entrava dentro, nascondendosi poi nel terreno e confondendo i poveri animali. Andò avanti così per un’ora poi, ritenendo avesse fatto abbastanza, Jolyne lo richiamò e si sedettero a parlare fino a che il Sole non tramontò. La ragazza allora lo salutò, ringraziandolo ancora per il suo aiuto, poi si avvicinò ai cespugli e raccolse tutta la lana luminosa che vi era rimasta incastrata, mentre le pecore dormivano beatamente a poca distanza da lei.
Anche stavolta Yukako si adirò molto della buona riuscita della giovane, meravigliandosi anche del quantitativo di vello che era riuscita a recuperare.
“Per gli Dèi! È possibile che non riesca a togliermela di torno?!”
«Le mie congratulazioni, Jolyne Kujo, hai superato anche questa prova», disse invece. «Domani dovrai presentarti davanti alla montagna bianca che vedi da qui», continuò, indicando l’orizzonte. «Lì ti spiegherò in cosa consiste la terza prova.»
Detto questo sparì, e Jolyne, non volendo tornare al castello, chiese ospitalità per la notte a una coppia di contadini che viveva lì vicino.
***
A sua insaputa qualcuno stava seguendo con attenzione le sue peripezie, qualcuno allo stesso tempo molto vicino a lei e molto lontano.
“Povera ragazza. Yukako non fa che inventarsi modi per metterla in difficoltà.”
Questo qualcuno era Jonathan Joestar, regina degli dèi e consorte di Dio Brando, nonché trisnonno di re Jotaro.
“Stavolta temo di non potere nulla da solo. Dovrò chiedere aiuto a Dio”, pensò, un po’ restio. Sapeva che i suoi discendenti, nonostante fossero tutti valorosi e nobili d’animo, non andavano a genio a suo marito; in particolare Jolyne, che aveva fatto soffrire così tanto uno dei suoi figli prediletti.
“Ma devo tentare. Quella fanciulla sta facendo del suo meglio per rimediare ai suoi errori, per cui è degna di ricevere tutto l’aiuto possibile.”
Una volta presa la decisione, si diresse verso la stanza di Dio, consapevole che l’avrebbe trovato sicuramente insieme a uno dei suoi numerosi amanti: il re degli dèi era infatti dotato di forti impulsi sessuali e, sebbene Jonathan a volte provasse una leggera gelosia, aveva da tempo preso atto della cosa e aveva accettato che il suo amato giacesse anche con altri partner. Perché, come aveva avuto modo di spiegargli Giorno, l’amore romantico e l’amore carnale erano due cose ben diverse: con gli altri Dio non voleva che appagare il suo appetito sessuale, mentre l’unico a cui aveva donato il suo cuore, l’unico da cui sarebbe sempre tornato e che sarebbe sempre stata la sua massima priorità era Jonathan stesso. Una volta capito questo concetto a lui non era rimasto che mettersi l’animo in pace. Anche lui, volendo, avrebbe potuto fare lo stesso, ma la sua natura di gentiluomo glielo impediva, se non per un’eccezione soltanto; inoltre, sapeva che il suo sposo sarebbe stato infinitamente più geloso di lui, e chissà cosa avrebbe potuto fare al malcapitato.
Arrivato a destinazione bussò e, ricevuto l’invito a entrare, socchiuse la porta e infilò solo la testa: la stanza era buia, ma la luce della Luna gli permise di scorgere suo marito seduto sotto le coperte accanto a un giovane uomo di colore che dormiva serenamente.
«Che succede, Jojo?» sussurrò Dio.
«Avrei bisogno di parlarti. Potresti uscire un momento?»
Il padre degli dèi si alzò dal letto, premurandosi di non svegliare l’amante, e si diresse verso la porta; Jonathan si era fatto indietro e, una volta uscito anche Dio, lo condusse a parlare in un’altra sala.
«Ebbene? Cosa c’è di così urgente da richiedere la mia attenzione?»
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Ti fermo subito, mio diletto: se vuoi chiedermi di aiutare quella Kujo tua parente, allora la mia risposta è no.»
«Dio, ascolta,» disse Jonathan, «so che i miei discendenti ti provocano un incommensurabile astio, e comprendo che ciò che ha fatto Jolyne non le abbia certo fatto guadagnare il tuo favore. Ma quella ragazza è sinceramente pentita del suo gesto, e si sta impegnando con tutta se stessa per conquistare la possibilità di rivedere Giorno.»
«E allora che se la cavi da sola. Non vedo perché debba avvalersi del mio aiuto. O del tuo, se è per questo», disse, guardando storto il suo sposo.
Questi arrossì: era stato lui, infatti, a mandare Shigechi ed Emporio ad aiutarla.
«Perché le prove a cui la sottopone Yukako sono davvero troppo ostiche per una mortale, e perché so che il cuore di Jolyne è puro. Inoltre, come ben sai, sono molto favorevole alla sua unione con Giorno.»
«E come tu ben saprai, io sono molto contrario. Come potrei permettere al mio figlio prediletto di sposare una semplice umana che lo tradirà alla prima occasione?»
«Perché tu hai sposato me.»
«È tutt’altra faccenda, lo sai bene.»
«E in che modo? Anche io ero un semplice umano prima di sposarti, e anche io all’inizio ho cercato di oppormi alla nostra unione. Ti odiavo per avermi strappato dalla mia adorata Erina e cercavo in ogni modo di scappare; poi ho visto il buono che c’è in te quando hai salvato l’anima di Erina cosicché potessi stare vicino a lei per l’eternità, e ho acconsentito a farmi colpire dalla freccia di Giorno.» Era infatti Erina l’unica eccezione che si concedeva alla sua risoluta monogamia: il suo primo e più grande amore, l’unica per cui Dio non provava alcuna gelosia, o almeno, non così forte da arrivare a farle del male (anche perché Jonathan non glielo avrebbe mai perdonato). Lo stesso padre degli dèi l’aveva fatta diventare una divinità minore in modo che potessero continuare a stare insieme.
«Le circostanze, naturalmente, sono diverse, ma sono convinto che nella posizione di mia nipote avrei agito come lei.»
«Tu sei sempre stato un inguaribile gentiluomo, per cui dubito saresti stato capace di un tale affronto.»
«Forse. Fatto sta che non me la sento di condannare una ragazza la cui unica colpa è aver voluto conoscere la verità. In più, sono sicuro che rivederla sarebbe di grande giovamento per Giorno.»
«Oh? E come mai mio figlio dovrebbe trarre piacere dal rivedere una donna che l’ha tradito?»
«Perché è innamorato di lei e l’amore, prima o poi, fa perdonare qualsiasi cosa. Non è forse così, amore mio?» disse, inclinando la testa e guardandolo con tenerezza ma alludendo alle molteplici volte in cui Dio gli aveva dato un dispiacere più o meno grande. Il biondo distolse lo sguardo, imbarazzato.
«E poi, dovresti vedere che brutta cera ha quel povero ragazzo: gli ho fatto visita di recente e mi è apparso così pallido. Il suo Stand mi ha rivelato che non ha quasi più toccato cibo, e che nulla sembra riuscire a strapparlo dalla sua malinconia. È come se si stesse lasciando morire.»
«Noi dèi siamo immortali. Vedrai che prima o poi gli passerà.»
«Questo è certo, ma quanto ci vorrà? E quanto altro dolore dovrà sopportare nel frattempo? Dio, ti prego,» lo implorò Jonathan, prendendogli la mano, «se hai a cuore la salute e la felicità di tuo figlio, permettimi di aiutarlo. Vorrei solo che chiedessi a Petshop di intervenire nella prossima prova, dato che esegue unicamente i tuoi ordini.»
«Perché proprio lui?»
«Perché conosco il luogo della prova, e so che c’è un’unica cosa che Yukako potrebbe volere da un posto del genere.»
Il biondo guardò il consorte negli occhi: quei suoi magnifici occhi azzurri, di solito così tersi, adesso erano pieni di tristezza e preoccupazione che solo lui avrebbe potuto alleviare. Sospirò: Jonathan era sempre stato il suo punto debole, l’unico a cui, per quanto ci provasse, non riusciva mai a dire di no. Maledetto il giorno in cui quella piccola peste di suo figlio aveva deciso di fargli un dispetto e lo aveva fatto innamorare di Jonathan Joestar.
«E sia, amore mio», disse infine, accarezzandogli la guancia con la mano libera, «ma solo a una condizione: dovrai promettermi che questa sarà l’ultima volta che aiuterai Jolyne Kujo. Nella prossima e ultima prova quella fanciulla dovrà cavarsela da sola. Solo così saprò che è davvero meritevole di stare al fianco di Giorno.»
Il compagno lo baciò sulle labbra con tenerezza, poi appoggiò la fronte contro la sua.
«Lo prometto. Ho fiducia in lei e nel suo amore per Giorno.»
Il padre degli dèi lo baciò di nuovo, più a lungo.
Come ogni giorno ringraziò di avere al suo fianco un consorte meraviglioso come Jonathan Joestar. E che una persona potesse essere colpita da più di una freccia, sebbene fosse una cosa che Giorno non amava fare.
***
Jolyne guardò dal basso l’altissima montagna bianca. Stavolta Yukako si era superata: come terza prova le aveva infatti imposto di raccogliere un’anfora d’acqua della fonte in cima. L’unico problema era che le pareti della montagna in questione erano completamente lisce.
“Come faccio ad arrivare in cima se non ci sono appigli a cui aggrapparmi? Quella stronza di Yukako ha proprio esagerato.”
Posò l’anfora a terra e si mise a pensare a come poter raggiungere la vetta. La cosa più veloce sarebbe stato chiedere di nuovo l’aiuto di Weather, ma la ragazza scartò l’idea: l’aveva già aiutata troppe volte, e poi era un dio, che diamine, aveva già il suo bel daffare.
Quasi sperò che si presentasse un’altra divinità ad aiutarla ma non si illuse: dopotutto, non poteva sempre avere una fortuna sfacciata, e in questo modo non avrebbe mai mostrato il suo valore.
“E se creassi io qualcosa per arrampicarmi? Mi servirebbe un arnese abbastanza appuntito da perforare la roccia e abbastanza robusto da potermi sostenere. Ma dove lo trovo?”
Si guardò intorno e, com’era prevedibile, non trovò nulla; mentre ponderava di cercare un fabbro in uno dei paesini lì vicino, udì un acuto strido e, voltandosi, vide una gigantesca aquila lanciata in picchiata verso di lei.
“E adesso che vuole questa?!” pensò, preparandosi a schivarla, ma il rapace la ignorò completamente, preferendo prendere l’anfora con in suoi possenti artigli e trasportandola verso la vetta della montagna.
«Ehi, quella mi serve! Torna indietro!» gridò, ma invano.
Dopo pochi minuti l’animale planò di nuovo verso di lei e, quando depositò l’anfora di nuovo a terra, la principessa vide che era piena quasi fino all’orlo.
«È opera tua?»
L’uccello la guardò come per dire “di chi altri se no?”, e lei per un momento si sentì molto stupida.
«Già, hai ragione. Beh, ti ringrazio molto per il tuo aiuto.»
L’aquila stridette di nuovo, poi si librò in volo e sparì in un turbine di piume.
Solo poco prima che Yukako arrivasse Jolyne si ricordò che Dio Brando aveva un’aquila come simbolo e animale da compagnia.
“Ma pensa te. Questa volta si è addirittura scomodato il re degli dèi?”
Sospirò. Solo un’ultima prova la separava dal suo amato.
***
«Padrone, porto buone nuove.»
Giorno alzò mollemente lo sguardo sul suo Stand, la guancia appoggiata sulle ginocchia, privo di qualsiasi interesse.
«Esponimele e deciderò se sono veramente buone o meno.»
«Ordunque, mentre tornavo da voi mi è capitato di sentir parlare tra loro due ancelle della nobile Yukako: esse lamentavano il brutto temperamento della loro padrona negli ultimi tempi.»
«Ebbene? In che modo il cattivo umore di mia madre dovrebbe essere una buona nuova?»
«Ciò che potrebbe farvi piacere risiede nella causa di tale malumore. Restando in ascolto ho scoperto che c’è la signorina Jolyne dietro a tutto ciò: la nobile Yukako, infatti, le ha imposto delle prove per consentirle di vedervi e, parrebbe, ella le sta superando brillantemente.»
Il dio alzò la testa con rinnovato vigore, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
«Jolyne ha sfidato mia madre? Ma è una follia! Come ha potuto?»
«L’avete detto voi stesso che per lei compiereste le più insensate follie. Deve essere la stessa cosa anche per la signorina Jolyne.»
«A tutto c’è un limite, per gli dèi», disse il biondo, alzandosi e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. «Devo fermarla prima che mia madre trovi il modo di ucciderla per davvero.»
«Lo state facendo di nuovo.»
«A cosa ti riferisci?»
«State nuovamente sottovalutando la vostra amata.»
A queste parole Giorno si fermò.
«Mia madre è troppo potente per lei. Non ho dubbi che le prove che le ha già sottoposto siano state ostiche, e non ho intenzione di scoprire fino a che punto può spingersi.»
«Dovete avere fiducia nella signorina Jolyne: è stata lei stessa a recarsi dalla nobile Yukako per ottenere il permesso di potervi rivedere, e sono sicuro che sapesse ciò a cui andava incontro.»
«E come poteva? Per quanto intelligente e perspicace, come può un mortale comprendere fino a che punto può spingersi una dea, specie se furiosa?»
«Indubbiamente sapeva che la nobile Yukako avrebbe cercato di sfruttare l’occasione per sbarazzarsi di lei, quindi deve essere dotata di molto coraggio per proporle di essere messa alla prova. Inoltre,» continuò GER, «ho sentito che il nobile Jonathan ha personalmente inviato dei messi ad aiutarla.»
Il dio soffiò una risata: tipico di Jonathan. Proprio non poteva esimersi dall’aiutare le persone in difficoltà.
«Coraggio e fortuna sono due doti da non sottovalutare. È mia convinzione, perciò, che la signorina Jolyne non avrà difficoltà a uscirne vittoriosa.»
«E con ciò?»
«Prego?»
«E con ciò?» ripeté Giorno, guardandolo dritto negli occhi. «Anche se dovesse farcela, cosa cambierebbe? Mia madre non le permetterà mai di rivedermi, e io stesso non provo alcun desiderio di rivederla.»
«Padrone, per quanto ancora avete intenzione di mentire a me e a voi stesso?»
«Prego?»
«Perdonate il mio ardire, ma questa volta non posso esimermi dall’essere franco con voi», disse lo Stand, drizzando la schiena. «Il vostro comportamento negli ultimi giorni è stato oltremodo immaturo per uno come voi, solitamente così assennato. Sono ben consapevole di ciò che ha fatto la signorina Jolyne ma, d’altronde, errare è umano, e per lei dovete essere di estrema importanza se ha deciso sua sponte di affrontare la nobile Yukako.»
Giorno continuò a fissarlo, in silenzio.
«Rammentate quando vi dissi che la vostra ostinazione non vi avrebbe portato che dolore? Ebbene, perché punirvi in questo modo? È forse perché, più che la signorina Jolyne, non riuscite a perdonare voi stesso per aver riposto la vostra fiducia in qualcun altro?»
Il dio distolse lo sguardo e lo Stand capì di aver colto nel segno.
«Padrone,» continuò, più morbido, «ora basta guardare al passato. Quello che è fatto non può essere disfatto; si può solo camminare verso il futuro e cercare di renderlo il più radioso possibile per se stessi. E ciò passa anche attraverso il perdono, che sia di noi stessi o degli altri.»
Il biondo strinse gli occhi, chiudendo le mani a pugno per qualche secondo e poi distendendole.
«Hai ragione, GER. Non so se sono pronto ad affrontare la mia amata in questo preciso momento, ma è indubbio che non è corretto lasciare le cose come stanno. Quando il destino lo deciderà parlerò con lei; spero che allora mi sarà chiaro cosa dovrò fare.»
«Lo sarà, padrone. Ho fiducia nella signorina Jolyne e nel profondo amore che vi lega.»
«Anche io. E spero con tutto il cuore di non essere in errore.»
Quella sera Giorno riuscì a finire quasi tutta la sua cena, e GER non poteva che restare sempre più meravigliato del potente effetto benefico che la signorina Jolyne aveva sul suo padrone.
***
«Prima di illustrarti in cosa consisterà la prova odierna,» disse Yukako, con le mani giunte in grembo, «permettimi di farti le mie più sentite congratulazioni per la bravura e il coraggio dimostrati fin qui.»
Lei e Jolyne si trovavano nel tempio in cui la ragazza si era rivolta a lei la prima volta.
“Seh. Questa è più falsa di Ermes quando ha dovuto mollare quel piagnone del suo ex.”
«Vi ringrazio sentitamente per le vostre parole, mia signora», disse invece.
«Ordunque, quello che ti chiedo per la quarta e ultima prova è di scendere nell’Ade e chiedere ad Aya Tsuji una delle sue maschere.»
Jolyne aveva già sentito parlare di lei: era la dea della primavera e dei fiori, e le sue maschere erano rinomate per donare una straordinaria bellezza a chi le indossava.
«Perdonate il mio ardire, ma cosa può mai farsene la dea della bellezza dell’intervento di Aya? Di certo siete già al vostro massimo splendore.»
«Oh, difatti non è per me, ma per te.»
«Scusate?»
«Vedi, l’obiettivo di queste prove era quello di raccogliere oggetti per il tuo futuro matrimonio con mio figlio: i semi dei migliori cereali con cui preparare il banchetto nuziale, il vello d’oro da intessere nel tuo abito da sposa, l’acqua della migliore fonte per dissetare gli invitati. Ora la bellezza di Aya servirà a farti apparire più desiderabile agli occhi di Giorno.»
La principessa ignorò il velato commento al suo aspetto, concentrandosi piuttosto su un quesito: davvero era possibile una cosa del genere? Certo, un aspetto migliore non le sarebbe servito da solo a riconquistare il suo amato, però le avrebbe dato un grosso aiuto nell’impresa.
«Ebbene, Jolyne Kujo,» la voce di Yukako la tirò fuori dai suoi pensieri, «accetti di affrontare la prova?»
La ragazza non aveva alcun dubbio: certo, il dover attraversare l’Ade la inquietava un po’ ma, d’altronde, aveva detto a Reimi che lo avrebbe fatto se avesse significato poter rivedere Giorno.
«Accetto. Quanto tempo ho per superarla?»
«Nessun limite. Prenditi tutto il tempo che ti serve.»
Dopo essersi fatta spiegare come arrivare nell’Ade senza dover morire, la principessa si inchinò brevemente, poi si girò e si diresse verso l’uscita del tempio, determinata come non mai.
Dietro di lei, le labbra di Yukako si stesero in un ghigno malefico.
“Stavolta quella mocciosa non uscirà viva da questa prova. E finalmente libererò sia me che mio figlio dalla sua indesiderata presenza!”
***
L’Ade sembrava un maledetto labirinto! Dopo aver girovagato a vuoto per due ore, Jolyne decise di sedersi su un masso per riposarsi.
“Non bastava quel dannato cane all’ingresso, adesso mi sono anche persa! Dannazione! Come la trovo Aya? Mica posso fermare le anime per chiedere delle indicazioni!”
Anche se l’idea non era male. E visto che non c’erano cartelli stradali, era anche l’unica soluzione che aveva.
«Ehi, scusa!» disse alla prima anima che le passò vicino, ma quella la ignorò. Provò altre volte, ma tutte le passavano affianco senza neanche degnarla di uno sguardo.
“Ma sono tutti maleducati da queste parti? E adesso come faccio?”
«Serve aiuto?»
La ragazza si girò e vide una giovane donna dai capelli biondi raccolti in una crocchia bassa e dagli occhi azzurri. Non era come gli altri che abitavano quel luogo: era davvero bellissima, e la sua espressione gentile la illuminava ancora di più.
«A-Ah, sì. Devo recarmi da Aya Tsuji. Per caso sai come arrivarci?»
«Certo. Ti ci accompagno volentieri, Jolyne.»
«Come conosci il mio nome?»
La donna rise piano.
«Diciamo che conosco molto bene uno dei tuoi antenati.»
La ragazza decise di non indagare oltre: anche se poteva prendersela comoda voleva rivedere il suo Giorno il prima possibile.
«Come ti chiami?» le chiese dopo che si furono incamminate.
«Erina. Il mio compito è estrarre l’anima dal corpo dei defunti e condurla dal re di questo luogo.»
“Un’altra divinità minore. Chissà se anche lei è stata mandata da Dio Brando.”
Dopo breve tempo le due raggiunsero la dimora di Aya, ed Erina dovette congedarsi perché doveva tornare al lavoro. Jolyne la ringraziò sentitamente, poi si avviò verso la casa e bussò. Venne ad aprire una strana creatura rosa priva di gambe, sicuramente uno Stand.
Siccome questi stava lì fermo senza dire niente, fu Jolyne a iniziare il discorso.
«S-Salve. Sono venuta a chiedere udienza con Aya Tsuji.»
Lo Stand aprì di più la porta e la invitò a entrare con un gesto della mano; poi la lasciò sola, presumibilmente per andare a chiamare la sua padrona.
La principessa si guardò intorno: la stanza era molto grande e dotata di grandi colonne di marmo disposte in cerchio, mentre il pavimento era coperto da un enorme tappeto dal motivo intricato; al centro della stanza, circondata dalle colonne, c’era una scalinata di tre gradini disposta a cerchio, al centro del quale erano posati svariati cuscini rosa.
«Chi domanda la mia presenza?» disse una voce, facendo trasalire la ragazza dallo spavento. Si girò e vide una donna dai lunghi capelli castani raccolti in una coda bassa e dagli occhi azzurri; il suo viso aveva dei lineamenti delicati, e lei indossava un vestito rosa piuttosto scollato che era stretto in vita da un corsetto.
«Mi chiamo Jolyne Kujo, mia signora.»
«Ah, Jolyne Kujo. Ultimamente non si parla che di te tra noi immortali.»
«Davvero?»
«Certamente. È raro che il dio dell’amore si interessi a un’umana, ma ciò che ha suscitato tanto clamore riguarda il tuo gesto. Povero caro, si dice che non sia più uscito dalle sue stanze tale è il suo dolore.»
La ragazza sentì una fitta al cuore al pensiero di aver ferito così tanto il suo amato.
«Sono qui per questo, mia signora: chiedo umilmente che mi doniate una delle vostre maschere, in modo da poterlo riconquistare.»
«Temo che la bellezza da sola non basti a riparare un cuore infranto.»
«Ne sono consapevole: è probabile che ben poche cose a questo mondo potranno assistermi nell’impresa. Conto di servirmi delle parole per persuaderlo a perdonarmi, ma sono convinta che le vostre maschere ammorbidiranno il suo giudizio.»
«Certamente lo renderanno più disposto ad ascoltarti. Ma cosa ti fa credere che le tue parole riusciranno a riconquistarlo, se posso?»
«Perché so che lui mi ama,» rispose Jolyne con decisione, «e se riuscirò a convincerlo della profondità dei miei sentimenti, e di quanto io sia addolorata, sono certa che mi permetterà di tornare al suo fianco. Sarei disposta a fare qualunque cosa per avere la possibilità di lenire il male che gli ho causato.»
«Questo ti fa onore, mia cara, e la purezza del tuo amore mi è giunta forte e chiara», disse Aya, annuendo soddisfatta. «E sia. Accontenterò la tua richiesta.»
La principessa chinò la testa.
«Grazie, oh grazie, mia signora!»
«Debbo però avvertirti,» continuò la dea, materializzando una maschera su cui erano ritratti due occhi verdi, «potrai indossare questo mio dono solo se sarà il tuo amato a volerlo. Solo lui e nessun altro può mettertela indosso.»
La ragazza annuì, decisa a seguire scrupolosamente le istruzioni; prese la maschera e lasciò il palazzo di Aya, incamminandosi con rinnovata determinazione.
“Aspettami, Giorno: presto potrò sistemare l’enorme casino che ho combinato!”
Quando raggiunse il punto in cui aveva incontrato Erina si fermò per cercare di ricordarsi come uscire dall’Ade: non era affatto semplice, considerando che all’andata ci aveva messo due ore per arrivare lì. Forse avrebbe potuto aspettare che Erina finisse le sue faccende e poi chiederle di mostrarle l’uscita?
«Jolyne.»
La ragazza venne catapultata fuori dai suoi pensieri al sentire la voce che l’aveva chiamata.
Si girò, lentamente. No, non era possibile.
«G-Giorno?!»
«Sì, amor mio. Sono io.»
Jolyne sentì gli occhi inumidirsi: il suo amato era lì, proprio davanti a lei, ed era rimasto tale e quale alla prima volta che lo aveva visto.
«Giorno!» esclamò, buttandosi tra le sue braccia. «Non puoi immaginare quanto sono felice di rivederti!»
«Anche io lo sono, mia cara. Non ho fatto che pensare a te ogni istante. Ma dimmi,» continuò lui, allontanandola ma tenendo le mani sulle sue spalle, «perché sei qui nell’Ade?»
«Oh, è vero», disse lei, mostrandogli cos’aveva tra le mani. «Tua madre mi ha chiesto di prenderla da Aya. Con questa potrò diventare più bella, però solo tu me la puoi mettere.»
Giorno prese la maschera che gli veniva tesa.
«Sei sicura che è questo ciò che desideri?»
La principessa annuì.
«Sì. Tutto ciò che voglio è poter stare con te, e se questa maschera è ciò che occorre, la indosserò volentieri.»
Il dio annuì e gliela avvicinò agli occhi.
Il cuore di Jolyne traboccava di felicità: finalmente sarebbe potuta tornare al fianco del suo amato!
Tuttavia, qualcosa andò storto: quando la maschera toccò il suo viso, infatti, la giovane non vide più nulla e cadde a terra, istantaneamente addormentata.
Giorno si chinò a prendere la maschera sostituita da quella di Aya e svanì in una nuvola di fumo.
***
«Giorno.»
«Padre.»
«Vedo che ancora non sei uscito da questa stanza. Queste quattro mura devono essere di incredibile intrattenimento per te.»
Il dio più giovane sospirò. In quel momento Dio Brando era una delle ultime divinità che aveva voglia di incontrare.
«Mia madre mi ha comandato di non uscire. Giacché ho disobbedito a un suo precedente ordine, è giusto che riceva un castigo.»
«Ritengo che questa punizione stia durando troppo, tu no?»
«Uscirò quando mia madre lo riterrà opportuno, né prima né dopo.»
«Oh? Nemmeno se te lo chiedesse la Kujo?»
Giorno inalò con forza, ma si costrinse a sostenere lo sguardo.
«Sì. D’altronde, anche ciò è parte del mio castigo.»
Il padre degli dèi incrociò le braccia.
«Non ti ricordavo così obbediente. Almeno, con me non lo sei mai stato.»
«Perché siete qui?» tagliò corto il più giovane. Suo padre era lì da neanche cinque minuti e a lui stava già venendo mal di testa.
«Non posso far visita a mio figlio? Ho saputo da Jonathan che la tua salute va peggiorando di giorno in giorno, ma credo che la sua preoccupazione fosse esagerata: per quanto sia evidente che tu abbia perso peso, mi sembri alquanto in forze. Chissà chi o cosa ti ha convinto a riprendere a mangiare», rispose l’altro, guardandolo con un sorrisetto beffardo.
Giorno non rispose. Sarebbe servito soltanto ad aumentare la sua ilarità.
«Inoltre,» continuò Dio, lasciando ricadere le braccia, «non so se ti è giunta voce che la tua umana sta affrontando delle prove per conto di Yukako.»
«Sì, GER mi ha informato. E con ciò?»
«Sai, pare che la Kujo sia stata vista di recente nell’Ade.» A queste parole Giorno si irrigidì. Cosa poteva mai farci un essere umano in quel luogo? Non è che…?
«Stà calmo, è ancora viva», continuò il più grande, vedendo la sua espressione. «Sembra che tua madre l’abbia solo mandata da Aya a prendere una parte della sua bellezza.»
Mentre parlava, Dio osservava le reazioni di suo figlio: per quanto fingesse che non gli importasse niente di quella Kujo, era evidente che il suo cuore diceva il contrario. Decise di dargli un’ultima spinta.
«Ora, sicuramente Aya l’ha avvertita di non indossare quella maschera, ma penso non ci sia bisogno di rammentarti cos’è accaduto l’ultima volta che le è stato imposto un divieto.»
«Non l’ha indossata. So che Jolyne ha imparato la lezione, e so anche che non ha difficoltà a mantenere una promessa, se le viene spiegato chiaramente il pericolo che corre.»
«Forse. Ma non dimenticare che in questa faccenda è coinvolta anche Yukako, e il suo astio verso quell’umana è ben noto a tutto l’Olimpo oramai.»
In quel momento dalla porta entrò GER, e sembrava piuttosto agitato.
«Padrone, porto infauste notizie. Oh, perdonatemi nobile Dio Brando, non avevo notato la vostra presenza», disse, chinando la testa.
«Sospendi i convenevoli, GER. Che è accaduto di così terribile?» chiese il suo portatore.
«Ebbene, mi aggiravo nel castello, quando ad un tratto vi ho scorto entrare negli alloggi della nobile Yukako. Avvicinandomi alla porta socchiusa l’ho vista stringere tra le mani una maschera raffigurante due occhi verdi, gli stessi della signorina Jolyne, e l’ho sentita compiacersi di essersi sbarazzata di lei. Poi la vostra figura è svanita nel nulla.»
Giorno si alzò di scatto.
«Cosa vai raccontando? Sei certo che quelle fossero le sue esatte parole?»
«Sì, padrone.»
Il dio incrociò le braccia e abbassò lo sguardo, visibilmente inquieto.
«Se quello che dici corrisponde al vero,» iniziò, «allora mia madre deve aver inviato una mia illusione nell’Ade per ingannare Jolyne. E, dunque, quella che aveva in mano era la vera identità di Jolyne, e lei adesso deve giacere incosciente nell’Ade!»
«Furba tua madre», rifletté Dio ad alta voce. «Adesso cos’hai intenzione di fare? Rimarrai ancora rinchiuso qui?»
Giorno non parlò per lunghi attimi. Poi alzò la testa, con una nuova risolutezza negli occhi.
«No. Rifiuto di obbedirle ancora, non dopo che ha infranto il nostro accordo, e soprattutto non dopo che ha deciso di mettere Jolyne in pericolo. GER, mi occorre il tuo aiuto.»
«Tutto ciò che comandate, padrone», disse lo Stand, chinando la testa e appoggiandosi una mano sul petto.
Dio Brando sorrise. Ora sì che riconosceva suo figlio.
***
Giorno atterrò nell’Ade, stringendo nella mano destra la maschera di Jolyne: aveva chiesto a GER di distrarre sua madre, mentre lui aveva corrotto le ancelle e si era infiltrato nelle sue stanze per rubarla. Il più classico dei diversivi, ma non era stato affatto semplice prenderla con tutte le trappole che Yukako teneva nella sua stanza; ma lui le conosceva tutte da tempo, ed era sempre stato bravo a rubare le cose, quindi era riuscito nell’impresa senza troppe difficoltà.
“Adesso, però, devo trovare Jolyne. Sarà un’impresa ardua orientarsi in questo luogo così vasto.”
«Nobile Giorno!»
«Oh, Erina.»
«Accorrete, presto: mia nipote è riversa al suolo e non riesco a svegliarla!»
Il dio corrugò le sopracciglia, sudando freddo.
«Conducimi da lei. Ci penserò io a destarla.»
«Oh grazie, grazie, mio signore!»
La dea lo condusse non troppo lontano, e a Giorno si gelò il sangue nelle vene: Jolyne era stesa a terra, priva di sensi e completamente indifesa. Chissà cosa sarebbe potuto capitarle se GER non avesse visto l’illusione di Yukako ed Erina non avesse trovato il suo corpo prima di qualche anima errante!
«Lasciaci soli, te ne prego. Ci sono molte cose che dovremo chiarire al suo risveglio.»
«Certamente», rispose la dea, chinando brevemente la testa e allontanandosi.
Giorno cadde in ginocchio accanto alla sua amata, posando a terra la maschera sottratta a Yukako, e avvicinò le mani al suo volto; con estrema delicatezza estrasse la maschera di Aya e la posò accanto a lui, poi prese l’altra e con altrettanta cura – e con mani lievemente tremanti – la posò sul volto di Jolyne.
Per qualche minuto non accadde nulla, e il dio cominciò a temere di essere arrivato troppo tardi.
«Non puoi morire così, Jolyne. Non prima che io mi sia scusato, non prima che tu abbia potuto riabbracciare i tuoi cari. Non prima di averti presa in sposa», le prese una mano tra le sue e ci appoggiò sopra la fronte. «Ti prego, rimani con me.»
«Giorno?»
L’interpellato alzò la testa e incontrò gli splendidi occhi della sua amata, un po’ confusi ma finalmente aperti.
Non riuscì a impedire alle sue labbra di stendersi in un sorriso, né ai suoi occhi di inumidirsi.
«Jolyne!» esclamò, stringendola a sé. «Mia adorata, credevo di averti persa per sempre!»
«Oh, Giorno, come sono contenta di poterti riabbracciare», disse lei, ricambiando la stretta.
«Ma cos’è successo? Quando mi hai messo quella maschera è diventato tutto buio», continuò, allontanandosi da lui.
Il dio ritrasse le braccia e le raccontò dell’inganno di Yukako. Il viso della ragazza si rabbuiò.
«Sapevo che quell’arpia aveva in mente qualcosa. Sono stata una stupida a fidarmi così ciecamente.»
«Non fartene una colpa. Nella tua situazione, probabilmente anche io sarei caduto nel suo tranello.»
«Non credo: tu la conosci da molto più tempo, e sai di cosa è capace. E proprio per questo hai fatto quello che hai fatto, adesso lo capisco.»
«Jolyne…»
«No, Giorno, lasciami finire, per favore. Hai fatto tutto il possibile per tenermi al sicuro da lei, e io sono stata davvero una sciocca a non crederti. La rabbia che provavo ha trasformato un atto d’amore in un’ingiustizia: ho infranto una promessa, è vero, ma solo perché credevo che mi avessi raccontato una bugia per farmi acconsentire alle nostre nozze. E alla fine il mio gesto irresponsabile ti ha portato così tanto dolore che non basterebbe una vita intera per fare ammenda. Posso solo dirti che ti amo più di qualsiasi cosa o creatura che esista sulla Terra, e che sono tremendamente dispiaciuta per quello che ho fatto», concluse, abbassando la testa.
Il dio non parlò per lunghi attimi poi, quando la principessa credette di dovergli dire addio per sempre, le prese il viso con una mano e glielo alzò, in modo da poterla guardare negli occhi.
«Per quanto sia vero che io abbia sofferto molto in quest’ultimo periodo, sei in errore se pensi di essere la sola ad avere delle colpe. Certo, il mio era semplicemente il tentativo di proteggere la donna che amo, ma anche il mio comportamento è stato profondamente ingiusto: ti ho rinchiusa nel mio palazzo e ti ho vietato di tornare dalle persone a te più care, quando io stesso detesterei che mi venisse fatto altrettanto. Non posso biasimarti per aver pensato che ti avessi mentito per strapparti una promessa di matrimonio, non dopo tali premesse. So bene di averlo compreso troppo tardi, ma ora sono qui e voglio dirti che anche io sono profondamente mortificato per ciò che ho fatto. Ti amo come la prima volta in cui ti ho vista, e se riuscirai a trovare nel tuo cuore la bontà di perdonarmi, come io ho ormai fatto da tempo con te, sarei estasiato di averti al mio fianco per l’eternità.»
«Oh, Giorno», mormorò lei, prendendogli le mani e appoggiandoci sopra le labbra. «Anche io ti ho perdonato già da tempo, e sarei la donna più felice del mondo se decidessi di prendermi in moglie. Ma sei sicuro che io ti vada bene? Insomma,» continuò, abbassando lo sguardo, «tempo fa ti ho accusato di non riconoscere il mio valore, ma adesso non sono sicura di esserne dotata. Non sarei mai riuscita a superare le prove senza l’aiuto di quegli dèi, e se non fosse stato per te sarei rimasta qui nell’Ade per sempre.»
«Ma cosa vai dicendo? Certo che possiedi il valore che affermi di avere. Sei stata molto coraggiosa a sfidare mia madre, pur sapendo che ti avrebbe messa in pericolo; hai avuto la determinazione di affrontare tutte le prove, anche quando ti sei resa conto di quanto fossero impossibili per un essere umano, e non dubito che anche senza l’intervento di altri immortali ne saresti uscita vittoriosa. Il fatto che su nell’Olimpo ci sia qualcuno per cui sei importante, e che ti ha creduto meritevole di ricevere aiuto, è simbolo che sei una donna degna di stima. Inoltre, sembri possedere la fortuna dalla tua parte, dato che è solo grazie a GER se sono venuto a conoscenza dell’inganno di mia madre. Come vedi, pur possedendo comunque dei difetti, sei una fanciulla dotata di splendide virtù, e questa» continuò, prendendo in mano la maschera di Aya e facendola sparire, «non è di alcuna utilità. Niente potrebbe renderti più bella di come sei adesso.»
«Giorno…» mormorò lei, guardandolo con occhi pieni di lacrime e tenerezza.
«Ebbene, permettimi di chiedertelo nuovamente, stavolta per davvero,» il dio, che era già in ginocchio, le strinse le mani, «Jolyne Kujo, vorresti prendermi, qui e davanti agli dèi, come tuo sposo?»
La ragazza fece un sorriso enorme.
«La mia risposta la conosci già, e non è cambiata né cambierà mai: certo che voglio sposarti, Giorno Giovanna.»
Il biondo sorrise a sua volta e la prese di nuovo tra le braccia, baciandola come aveva voluto fare ogni giorno da quando l’aveva persa.
***
«E ora, alla presenza di tutti gli esseri mortali e immortali, io vi dichiaro marito e moglie.»
Il lieto evento si tenne nell’Olimpo e non poté che essere celebrato da Jonathan, dato che era anche il dio del matrimonio; vennero invitati sia parenti e amici della sposa che tutti gli altri dèi, compresa Yukako, che per l’occasione era bella come non mai. Ma nessuno le prestò attenzione: tutti erano rimasti ammaliati dalla radiosità della sposa. Ciò non fece che aumentare il suo odio per Jolyne, ma non osò mai interferire con il matrimonio, non dopo l’incontro che aveva avuto con Dio Brando e consorte.
«Prima di iniziare i festeggiamenti,» disse il padre degli dèi, accanto a Jonathan, «c’è un’altra cerimonia a cui bisogna attendere. Jolyne, ora che hai sposato mio figlio spero ti sia chiaro che non potrai più essere un’umana. Pertanto,» continuò, estraendo una freccia di metallo, «adesso userò questa per farti diventare una dea.»
La ragazza era un po’ intimorita, ma uno sguardo a suo marito le fece capire che sarebbe andato tutto bene; si inginocchiò di fronte a Dio e si fece colpire dalla freccia. Provò dolore, ma non per troppo tempo, e subito uscì dal suo corpo una creatura umanoide fatta di fili e con spessi occhiali verdi al posto degli occhi.
«Come padre e re di tutti gli dèi,» riprese Dio, «io ti nomino dea delle anime gemelle e personificazione dell’amore umano. Benvenuta tra noi, figlia mia.»
Jolyne fece una riverenza e, dopo aver scambiato un’occhiata con Giorno, si girò verso i suoi cari; tra loro scorse lo sguardo affettuoso di Reimi, che accanto a suo marito la guardava sorridente e traboccante di felicità.
Ricambiò il sorriso.
Alla fine il matrimonio tanto desiderato da entrambe c’era stato sul serio, e chissà, magari grazie a Rohan questa storia sarebbe diventata leggenda.
